L’esperienza interiore della libertà: sorgente di creatività per l’educatore
Christopher Clouder (Waldorf Italia 2007)
Per introdurre l’argomento, il presidente dell’ ECSWE (European Council for Steiner Waldorf Education) ricorda due frasi di Janusz Korczak, pedagogo morto in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale per non lasciare soli i “suoi” bambini: “Trova la tua via, impara a conoscere te stesso prima di cercare di conoscere i bambini. E’ un errore credere che l’educazione sia una scienza dei bambini e non dell’uomo.”
Se quindi vogliamo adempiere al nostro compito di educatori, non è sufficiente osservare i bambini, bisogna osservare anche se stessi per trovare la propria natura. E’ un luogo comune, nella nostra cerchia, dire che il metodo Waldorf porta i bambini verso la libertà, ma diventa un’ipocrisia, a meno che non riusciamo a trovare questa libertà entro noi stessi e la nostra libertà si trova nel nocciolo della nostra anima. Così, anche negli orrori delle guerre del secolo scorso che hanno profondamente variato l’Europa dai tempi di Steiner, c’è stata la possibilità di scoprire questa libertà, che è interiore. Ci sono state persone come Nelson Mandela, che, nonostante le pressioni esterne, non sono riuscite a vivere in modo immorale perché “tutto si può togliere all’uomo, tranne la possibilità di scegliere il proprio atteggiamento, la propria via”.
Guardando alla Storia, abbiamo l’abitudine di darle degli schemi, ma ora, secondo Rudolf Steiner, il nostro è un tempo in cui non è più possibile farlo: è quello che lui definisce “dell’anima cosciente”, un tempo di confusione, in cui le cose cambiano rapidamente ed è perciò importante, per la nostra concezione del mondo, comprenderlo. Prova ne è il fatto di come ci riesce a vivere insieme. Ad esempio, secondo molti pensatori dell’educazione di oggi, il vivere insieme è il tema principale dell’educazione, mentre storicamente questo non è stato uno dei compiti tradizionali della scuola ed è stato invece uno dei compiti che Rudolf Steiner ha dato per tutta la comunità scolastica.
Nel rapporto del 1997 per l’Unesco elaborato da Jacques Delors, l’educazione si basa su quattro pilastri: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare ad essere ed imparare a vivere insieme, principi comuni alla nostra pedagogia, ma… come riuscire a metterli in pratica? Soprattutto ci è sempre più chiaro che dobbiamo imparare a convivere.
Dobbiamo guardare nella nostra comunità, con uno sguardo più ampio, globale, per vedere quante volte si fallisce in questo. Nostro compito, come educatori Waldorf, è ricostruire un ponte spirituale, basato sull’amore, ma non siamo soli in questo compito.
Nel 2005 infatti i ministri dell’educazione europei si sono incontrati per decidere quali sono le competenze chiave che ogni bambino in Europa dovrebbe acquisire. Non c’è una politica europea sull’educazione, ogni singolo Stato ne è sovrano, ma questo porta indietro, ai tempi del nazionalismo, quando l’educazione appunto doveva accrescere un sentimento di nazionalismo. Nondimeno i ministri si incontrano e collaborano insieme.
Sono state così individuate 8 competenze e questi saranno gli indirizzi che svilupperà ogni Stato:
1) comunicazione in lingua madre;
2) comunicazione in lingua straniera;
3) competenza matematica e conoscenza di base nelle scienze e nelle nuove tecnologie;
4) competenze digitali;
5) imparare ad imparare;
6) competenze interpersonali, interculturali, sociali e civiche;
7) capacità imprenditoriale;
8) espressione culturale.
Se queste competenze venissero prese seriamente in considerazione, allora cambierebbe la scienza dell’educazione statale. Queste sono già al centro della pedagogia Waldorf, tranne forse quella digitale, ma i nostri alunni dovrebbero lasciare la scuola superiore anche con questa competenza. Dobbiamo infatti stare attenti a non essere tecnofobici, dobbiamo invece insegnare ai nostri ragazzi ad usare la tecnologia in modo buono.
Che cosa s’intende però per “competenza”, parola spesso usata in ambito europeo?
E’ l’abilità di affrontare domande complesse in un determinato contesto particolare, che coinvolge quindi atteggiamenti, emozioni, sentimenti e che perciò non è riconducibile alla sola espressione cognitiva. La competenza quindi non è sinonimo di abilità e, ancora di più, non è misurabile. Dentro una medesima competenza vi sono infatti molte abilità. Se riuscissimo a tradurre questo concetto di non misurabilità in realtà, allora si sarebbe alla soglia di una rivoluzione in ambito educativo e ciò è il compito della scuola Waldorf: avverare questa rivoluzione. A volte ci sembra di essere molto piccoli, nelle nostre scuole c’è molto da fare ed è difficile pensare al nostro compito in un modo più vasto. Adesso ne abbiamo la possibilità perché le persone che scrivono questi documenti sono disposti ad ascoltare e a collaborare. In questo compito, non è importante se ci sentiamo deboli o se facciamo degli errori, è importante invece lo sforzo che facciamo verso il mondo e soprattutto come lo facciamo. Deve essere fatto con modestia. Per aiutare gli altri a raggiungere la libertà e conquistarla noi stessi, dobbiamo essere umili. Noi non abbiamo le risposte, stiamo solo lavorando per trovarle.
Rudolf Steiner, nel preparare gli insegnanti, diceva che per avere le forze per divenire un insegnante Waldorf bisogna avere sempre presente il fatto di essere in divenire. Io non sono un insegnante Waldorf, io sto diventando un insegnante Waldorf e questa non è una scuola Waldorf, questa sta diventando una scuola Waldorf. Con questo nel cuore ci allontaniamo da impianti cognitivi astratti che rischiano di diventare una prigione per noi stessi.
Rudolf Steiner indicava infatti che il modo per insegnare bene è di sapere che lo stiamo facendo in maniera imperfetta. Così, se gli insegnanti escono dalle loro lezioni soddisfatti, convinti di aver fatto bene, allora sono dei cattivi insegnanti. Il modo per cambiare il mondo è attraverso la modestia. Dobbiamo agire in aula così come ci comportiamo fuori. Occorre mantenere il dubbio di non essere all’altezza, anche dopo 25 anni d’insegnamento.
Come si può superare questo senso di insufficienza?
Attraverso l’immaginazione, attraverso l’uso della facoltà immaginativa. Nessuna scoperta viene fatta senza qualità poetica; qualità che noi, come insegnanti Waldorf, possiamo esprimere perché siamo uomini liberi, non abbiamo carriere da perseguire. Noi possiamo usare quel linguaggio poetico che ci avvicina ai bambini. Come direbbe Steiner, noi possiamo usare la logica del cuore.
A tale proposito, negli ultimi due anni è stato dimostrato dalla scienza neurobiologica che non pensiamo grazie al sentire, ma pensiamo attraverso il sentire. Ecco perché questa qualità della poesia è così importante: troviamo le stesse parole che usiamo quotidianamente, ma diventano qualcosa d’altro perché le mettiamo in rapporto in modo differente. Così è anche nel rapporto con i bambini: non il bambino come oggetto, ma come colui che porta qualcosa a questo rapporto ed allora il rapporto rileva diversi strati di significato e d’intenzioni. Dobbiamo assolutamente lavorare sui nostri sentimenti perché fanno parte di questa definizione di competenza. Ecco perché Rudolf Steiner dà grandissima importanza al fatto che gli educatori operino attraverso immagini, contrariamente, non sarà possibile creare una vita sociale. Dobbiamo creare delle immagini piene di sentimento, in modo che i bambini possano comprendere il mondo, ma ne abbiamo bisogno anche per la vita sociale, la quale si basa sulle immagini che abbiamo di noi stessi e degli altri. Per creare quindi un mondo più pacifico abbiamo bisogno di creare queste immagini e trasformarle in immagini intrise d’amore. Un lavoro meraviglioso, ma duro, frutto di una lotta continua con noi stessi perché è facile cadere nella generalizzazione, rifugiarsi nei propri pregiudizi, sviluppare antipatia per l’altro. Anche gli artisti lottano con parole e colori e come educatori possiamo imparare dai grandi artisti perché l’educazione è un’arte. Mettendoci nei panni degli altri attraverso l’immaginazione possiamo liberare noi stessi. Come educatori allora dobbiamo coltivare le arti del nostro tempo e leggere libri buoni, di una certa qualità, per esercitarci a vivere nel carattere dell’altro. E’ un processo importante, ma difficile perché abbiamo troppa coscienza di noi stessi, tipica dello sviluppo dell’anima cosciente. Dobbiamo interessarci invece a tutte le culture del mondo, entrare nelle culture degli altri.
Così con l’antroposofia si può sviluppare l’antropoetica, dove possiamo trovare la gioia nell’esprimerci, la scoperta dell’imparare; vi possiamo trovare tutta la bellezza insita nel mondo, e adoperarci per riequilibrarlo.
Rudolf Steiner al riguardo dice che non è importante ciò che sappiamo, ma che conosciamo ciò che dovremmo insegnare. Dobbiamo inventare le nostre lezioni da ciò che abbiamo imparato. Se si è compresa la natura dell’essere umano, questo può diventare nutrimento per il lavoro educativo, come un buon cibo. Da ciò scaturisce l’arte stessa dell’educazione. Per questo non c’è un programma nella scuola Waldorf, bensì un corpo di conoscenze che noi dovremmo imparare, con cui dobbiamo lavorare per poter preparare la lezione. Ma dal nostro imparare dobbiamo creare qualcosa di nuovo, sempre ed in continuazione. Allora la pedagogia Waldorf diventa una pedagogia verso la libertà. Le ricette ci aiutano a trovare il nuovo.
Può sembrare molto difficile allora divenire un insegnante Waldorf, ma da un altro lato è anche molto stimolante perché intraprendendo questa via si esce dalla prigione della propria mente, dal limite del proprio corpo. Attraverso questo lavoro si sviluppa la percezione che non si è da soli, si entra con i bambini in una nuova dimensione che porta ispirazione e coraggio. Essere educatore Waldorf, sia genitore o insegnante, è un grosso lavoro. Il lavoro è accogliere quello che ci viene incontro, la lezione si crea insieme ai bambini e le ore di preparazione sono servite a renderci pronti per la creazione della lezione, in cui l’adulto può rivivere la bellezza dell’infanzia, che è quella di essere liberi. In questo contesto diviene chiaro che non bisogna allevare i bambini come stranieri del mondo e che quindi il pragmatismo si deve sposare con gli ideali.
Christopher Clouder conclude con questa poesia di Tagore:
“Dormii e sognai che la vita fosse gioia.
Poi mi sveglia e mi resi conto che la vita era dovere.
Poi andai a lavorare
ed ecco
scoprii che il dovere può essere gioia.”