L’uso del colore in architettura di interni: Colore, percezione e salute
Vittorio Tamburrini
Per una comprensione non soggettiva del colore
L’uso del colore in architettura richiede una comprensione non soggettiva del colore stesso e contemporaneamente la progressiva conquista di una forte libertà espressiva. La prima si può ottenere attraverso una rigorosa osservazione fenomenologica e la seconda attraverso un esercizio dell’arte del colore che riconosca la differenza tra arbitrarietà e libertà. In questo modo l’uso del colore può rivelarsi efficace in un’architettura che sappia interpretare le esigenze degli uomini di oggi. Secondo questo punto di vista, per progettare il colore in architettura bisogna coniugare legge e libertà nel cromatismo architettonico, proprio come l’artista si propone di fare nell’ambito di una qualsiasi arte visiva. in particolare, bisogna riconoscere nella legge lo strumento per liberare una creatività coerente con l’intelligenza incantata nella natura, – una creatività che risulti pertanto depurata di ogni elemento arbitrario o di maniera.
L’illusione di poter trovare una soluzione neutra scegliendo il non colore nasce dal desiderio di trovare una durevole libertà del sentimento nel non colore. Ma questa illusione si dissolve nell’acquisizione della consapevolezza che l’acromatismo è impossibile, se non nella pura trasparenza: sappiamo infatti che ogni superficie si esprime nel colore anche lì dove si è tentato di negarlo.
E’ una tesi di questo scritto che il colore dialoga con la psiche umana, nutrendola o impoverendola a seconda che il soggetto che osserva entri o non entri in una relazione significativa con esso. Questa possibilità dipende sia dall’osservatore che, come dice Matisse, non deve essere equivalente alla sedia della galleria d’arte, sia dal colore stesso, ovvero dal modo in cui il colore si presenta.
Il linguaggio evidenzia il rapporto tra colore e anima anche attraverso una classe particolare di espressioni,dette anche “espressioni colorite”.
Quando si dice “rosso di rabbia”, “bianco di paura”, “verde di rabbia”, “nero dal rancore”, “arrossire di vergogna”, “che fifa blu”, “mi sento proprio grigio”, si esprimono stati d’animo associati a manifestazioni cromatiche.
Questi modi di dire presuppongono una stretta relazione tra colore e sentimento, che può essere attribuita ad una tradizione culturale, ovvero alla trasmissione di espressioni pittoresche attraverso le generazioni, oppure ad una intuizione non cosciente di un possibile significato oggettivo del colore.
A sfavore della seconda alternativa, e cioè di un significato oggettivo del colore, potrebbe giocare il rapporto “uno-molti” instaurato da espressioni linguistiche come l’essere “rosso di rabbia” o l’essere “verde di rabbia”: allo stesso stato emotivo il linguaggio associa infatti due colori diversi. Tuttavia, se fossimo in grado di mostrare che queste espressioni indicano distinzioni sottili piuttosto che attribuzioni contrastanti di colore, avremmo neutralizzato una possibile obiezione iniziale alla nostra ipotesi di lavoro, secondo la quale vi è una conoscenza non arbitraria del colore.
E infatti le due espressioni non sono affatto contrastanti fra loro, essendo di fatto utilizzate per due tipi di rabbia completamente differenti, due modi complementari di esprimere la rabbia, così come complementari sono il rosso e il verde: l’espressione “rosso di rabbia” è usata quando la rabbia porta il sangue alla testa, quando si sente di essere in procinto di perdere il controllo di sé; in questo caso sarebbe ancora più appropriato dire “rosso di collera”.
Si potrebbe immaginare la “Furia” di Michelangelo Buonarroti nelle tinte del rosso, benché l’autore, per quanto sia a noi noto, non abbia mai trasferito il disegno in dipinto.“Verde di rabbia” è invece quel sentimento di rabbia repressa al quale si impedisce, magari a fatica, di diventare furia. Forse è un sentimento più vicino al livore (dal colore grigio violaceo), anch’esso una sorta di rabbia antica e sedimentata.
Volendo indicare un’attività fisiologica vicina a questi due stati d’animo, si può dire che il primo, la rabbia rossa, è a carico del sistema cardiocircolatorio e sale verso il capo alterando anche il respiro; il “verde di rabbia” è certamente tale da alterare anch’esso il respiro, ma scende nel fegato proprio come il livore, la cui attività è spostata anche sul piano gastroenterico.
Questo esempio ci induce a riflettere sul fatto che la relazione colore-sentimento investe gli organi, quindi la salute fisica, oltre che quella psichica, degli esseri umani (un sentimento è espressione della psiche associabile a un colore).
La salute fisica dipende in modo fondamentale dall’equilibrio del sistema cardiocircolatorio e dal sistema del respiro, che d’ora in poi chiameremo nel loro insieme sistema ritmico (cuore, sangue, respirazione = sistema ritmico). Il polso (ritmo della circolazione sanguigna) e il respiro (ritmo del processo di respirazione) sono elementi importanti per la verifica della salute di un individuo: un’alterazione significativa o duratura di uno o di entrambi questi ritmi richiama l’attenzione sia di chi ne è affetto sia del medico che effettua la visita. Vale la pena notare che la vita cessa al cessare dell’attività ritmica di questi due apparati.
Consideriamo più da vicino la relazione tra sentimento, attività fisiologica e colore. Un sentimento può provocare alterazione del ritmo cardiaco o del ritmo respiratorio: uno spavento improvviso, un inaspettato e felice incontro, ecc. Oggi è provato che anche un colore può provocare alterazione del sistema ritmico per cui, ad esempio, a seguito dell’esposizione al colore blu si riscontra un rallentamento della frequenza cardiaca, mentre si riscontra un’accelerazione a seguito di esposizione a un bel rosso scarlatto.
Colore, sentimento e attività fisiologica sono in stretta relazione tra loro; da quest’ipotesi, che ci sembra ampiamente suffragata dalle osservazioni, discende la necessità di tener conto nel progetto del colore delle possibili ripercussioni sullo stato di salute dei fruitori.
Ancora un aspetto del corpo umano ci permette di arricchire e sottolineare le considerazioni precedenti: il volto umano è in continua trasformazione cromatica. Tutti i sentimenti appaiono espressi sul volto in forma di colorito roseo (serenità), rosso (collera), pallido (paura), cianotico (auto-repressione), giallastro (rimuginamento), tutti i colori (vergogna), ecc. Anche i vari stati di salute si manifestano sul volto: roseo (buona salute), rosso (pressione alta), pallido (freddo), cianotico (scarsa ossigenazione del sangue), giallo (itterizia), ecc. Il colore scompare dal volto solo con la morte. E’ significativo, a questo proposito, notare che il volto sia detto “specchio dell’anima” (l’anima è presente nel corpo solo in vita). Ma il volto è anche specchio dello stato di salute e così ancora una volta colore, salute e anima sono strettamente correlati.
Una concezione oggettiva del colore deve risolvere altri rompicapi generati da espressioni linguistiche comuni. Nell’uso comune si dice, ad esempio, che il rosso è simbolo dell’amore, e che l’amore è più o meno passionale a seconda del tipo di rosso ad esso associato. E tuttavia è altrettanto invalso l’uso di rappresentare l’odio con lo stesso colore!
A questo punto, per continuare a sostenere l’oggettività del colore sarebbe necessario trovare un carattere comune ad odio e amore. In caso contrario, l’associazione del colore al sentimento risulterebbe arbitraria e legata a tradizioni culturali più o meno durature, a costumi sociali, moda, epoche, posizione geografica, ecc.
Se si considera l’aspetto interiore dell’amore e dell’odio si osserva che l’amore è andare incontro all’altro, all’amato; amore vuol dire aprire le braccia, andare incontro all’altro con il desiderio dell’abbraccio, dell’intimità; si può sentire che ciò che muove verso l’altro è un calore interiore.Cos’è l’odio secondo l’aspetto interiore? L’odio è ancora una volta andare verso l’altro, l’odiato, ma in questo caso con le braccia in alto pronte a colpire e mossi da un fuoco interiore.
L’amore e l’odio hanno in comune “l’andare verso” e il “calore”, e si differenziano tra loro per altri aspetti.
Movimento “verso”: questo è l’elemento oggettivo e amorale del rosso. Esso può essere espressione tanto dell’amore che dell’odio, acquisendo allora un carattere morale che è personale e soggettivo. Ciò che il linguaggio coglie è l’elemento oggettivo e transpersonale del colore.
Si può trovare il carattere oggettivo del colore se si cerca il suo aspetto amorale, che si colloca a monte delle espressioni rappresentative e simboliche.
Del rosso si può dire che l’aspetto essenziale sia l’avanzare, il riempire lo spazio, proprio come fanno il calore fisico e il calore interiore nei loro rispettivi ambiti. Analogamente, si pone il problema di individuare il carattere essenziale di ogni altro colore,, se si vuole trascendere l’aspetto soggettivo e trovare gli strumenti per progettare il colore in modo più consono all’essenza dello spazio architettonico.
ll giallo è il colore della luce, sia sensibile (luce che svela) sia interiore (luce del pensiero: l’avere un idea si rappresenta graficamente mediante una luce che si accende); la luce esteriore (solare) e la luce interiore (pensiero) svelano le cose prima avvolte nelle tenebre della notte o della coscienza.
Il giallo irradia da un punto e disvela ciò che è nascosto, ciò che prima “non è chiaro”. Il giallo porta il sollievo di ciò che è chiaro, allontanando le inquietudini dell’ignoto. Il giallo è anche l’abbagliare che impedisce di vedere nel mondo o nella coscienza, come il perdersi nella follia di un’idea unilaterale nel caso di van Gogh. Anche il giallo è sottoposto a tensioni linguistiche che è possibile superare solo nel contenuto amorale dell’azione sottesa alla sua attività .Il giallo irradia di un irradiare che porta luce disvelante o abbagliante, ma si tratta pur sempre di un irradiare rapido, repentino, tagliente, improvviso.
Il verde vive tra l’irradiare del giallo e l’accogliere del blu, come la natura vegetale vive tra l’irradiare della luce cosmica solare e l’accogliere dell’oscurità acqueo/terrestre. E’ per questa identità processuale che la natura si riveste di verde; la natura vegetale è verde perché essa è l’immagine dell’invisibile processo che la sostanzia.
Il blu, l’azzurro, il manto di Maria dell’iconografia classica, il colore del cielo e del mare, il colore dei ghiacciai e delle montagne lontane; dal celeste fino al blu notte. In questa infinità chiaro-scurale si esprime l’aspetto quantitativo del blu, che nella sua profondità abissale è oscurità fatta colore.
Il blu apre uno spazio infinito nel quale immergersi o sprofondare; il blu porta frescura, rifugio e liquida carezza, ma può anche portare gelo, oscurità oppressiva e rigidità glaciale. Tante sono le oscillazioni chiaro-scurali e cromatiche quanti sono i possibili attributi dell’azzurro.
Anche qui ritroviamo le tensioni concettuali che si evidenziano descrivendo il carattere di un colore: frescura ristoratrice e gelo mortale, riparo accogliente o buio che risucchia la coscienza.
Il blu crea spazio, è tanto ritrattivo quanto attivo è il giallo nel suo irradiare. Il blu si ritrae davanti all’osservatore, è produttore di spazio infinito e vuoto; nel suo ritrarsi crea il luogo per l’azione. Il blu è principio femminile che crea il luogo adatto per l’azione quale principio maschile (il giallo).
Azione e ritrazione sono il giallo e blu, l’uno impossibile senza l’altro. Il blu creerebbe solo infinito spazio vuoto e il giallo solo pura azione inefficace se l’uno non agisse nell’altro formando il verde, cioè il colore della quiete, l’equilibrio passivo che si osserva nella natura vegetale. Il verde non avanza né si ritrae, il verde sta, è il luogo dell’essere nel quale azione e ritrazione si spengono soddisfatti e appagati. Il verde è l’immagine della vita vegetale, è il primo colore nel quale si rispecchia il mondo vivente come espressione dell’agire reciproco di due archetipi dell’essere: il giallo e il blu.
Il giallo e il blu possono mantenersi separati e tingersi entrambi progressivamente di rosso dando vita a tutte le altre possibilità cromatiche. Il giallo è produttivo dell’arancione, del rosso vermiglio e dello scarlatto, proprio come il sole (luce giallastra) che tramonta si arrossa progressivamente. Il blu è produttivo del viola bluastro e del viola rossiccio, proprio come si esperisce il colore del cielo al progressivo innalzarsi dal suolo come in un viaggio in aereo o in una ascesa in alta montagna.
Il processo di arrossamento del giallo e del blu è un’intensificazione del colore, è ciò che corrisponde nella psiche ad un rafforzamento del sé. All’apice delle due intensificazioni sta il porpora o rosso puro, cioè un rosso che non ha più nulla di giallo o di blu; esso unisce le due intensificazioni o, meglio, è il risultato dell’unione delle due intensificazioni. Nelle gamme cromatiche che nascono dall’intensificazione (arrossarsi) di giallo e blu stanno tutte quelle dimensioni dell’essere che gli stati d’animo permettono di conoscere dall’interno, e che i sensi permettono di trovare all’esterno, in quell’eterno gioco di rimandi tra vita esteriore ed interiore già notato a proposito del giallo come luce solare, luce del pensiero, e così via.
In estrema sintesi, non potendo per motivi di spazio condurre un’analisi più approfondita in questa sede, si possono prendere i colori dell’iconografia classica della Madonna con Gesù come significativa intuizione artistica delle qualità oggettive del colore. Maria è avvolta nel manto blu e porta in braccio Gesù, irradiante una tenue, giovane luce gialla. Se non vi fossero altri colori, la profonda maturità del blu del mantello avrebbe l’effetto di soffocare più che di accogliere la tenue luminosità del fanciullo. Il confronto tra il mantello blu e la gialla radiosità è però mediato dal rosso del corpetto che veste il seno di Maria (luogo della vita che dà vita: il cuore e il seno che allatta). Il rosso, fonte del calore fisico e del calore dell’amore, quindi media tra il giovane principio dell’azione (Gesù), e l’antico, maturo, profondo spazio dell’esistenza, rappresentato dal mantello blu.
La rappresentazione classica di Maria con il Bambino è una straordinaria intuizione che si offre come sintesi dei tre principi fondamentali del colore: giallo, blu e rosso.
L’analisi dei colori sin qui condotta tiene conto di due leggi fondamentali: la legge della polarità (espressa dalla coppia cromatica giallo-blu) e la legge dell’intensificazione (dal tedesco steigerung), per la quale data una coppia polare esiste, oltre alla soluzione della tensione per mescolanza diretta (giallo e blu si mescolano per dare il verde), una seconda soluzione, ricavata dalla trasformazione di entrambi i colori verso la stessa meta (giallo e blu tendono entrambi al rosso), che culmina in un terzo elemento ottenuto dall’incontro dei poli intensificati (il rosso puro o porpora).
Secondo J. W. Goethe, queste leggi sono fondamentali per tutti i processi della natura. Ogni polarità esprime una tensione che ha due soluzioni opposte: la mescolanza dei principi polari o il culmine delle loro intensificazioni. Il progetto del colore può fare un uso proficuo di queste leggi, come verrà indicato solo per cenni sommari qui di seguito.
Il colore dell’abitare
Scegliere il colore di un luogo di abitazione richiede l’attenta osservazione degli spazi e della natura dell’attività che in essi viene svolta.
L’osservazione degli spazi interni va rivolta alle forme, alla luce naturale e a quella artificiale, cose alle quali i professionisti sono già in larga parte attenti.
La luce naturale modella chiaroscuralmente e cromaticamente lo spazio interno, al variare della posizione del sole nelle ore della giornata: la luce naturale non è costante nel tempo.
La luce artificiale comporta una o più condizioni possibili, ma quasi sempre statiche.
Di solito, la forma degli spazi è, poco creativamente, appiattita sul modulo del parallelepipedo. E tuttavia, dal punto di vista del colore, ogni variazione, rientranza, sporgenza, nicchia, svaso, spigolo ha importanza ed è quindi da registrare come occasione per mutamenti cromatici o chiaroscurali.
Il colore è interazione tra luce e oscurità: ogni colore è sempre più chiaro della completa oscurità, il nero, e più scuro della luce, ovvero del bianco, proprio come si osserva per il grigio. Il colore è “valore d’ombra” rispetto alla luce ed è luce rispetto all’oscurità (Goethe – La teoria del colore – Il Saggiatore – Milano). La luce degli ambienti ha importanza proprio in relazione alla natura di luce e ombra del colore.
I colori si possono anche suddividere in più affini alla luce (giallo – arancio – rosso) e più affini all’ombra (azzurro – bluviola – violarosso). Questa suddivisione è già un’indicazione significativa per il progetto colore, sebbene sia necessariamente soggetta a interpretazioni. Spazi più in ombra sono più vicini ai colori affini all’ombra e viceversa.
La forma che determina lo spazio è l’occasione per le variazioni cromatiche.
Il colore vive nel mutamento. Non è vivo quando, al contrario, diviene fissità: il colorito del volto è fisso solo con il sopraggiungere della morte, un paesaggio verde è fatto di infinite variazioni cromatiche e chiaroscurali, il manto di un animale varia al variare delle stagioni, il variare della luce muta la percezione cromatica di una stessa tinta, il colore del cielo è quanto di più mutevole vi sia, ecc. Le tecniche di colorazione più adeguate per una viva espressione del colore sono quelle che producono superfici cromatiche non piatte e non omogenee (anche se un accorto uso di superfici piatte con colori più o meno diversi può dare la necessaria impressione di mutevolezza di cui uno spazio necessita).
La forma, allora, dà occasione per mutamenti cromatici e chiaroscurali: lo spigolo che congiunge o separa due superfici è il luogo naturale per un cambiamento cromatico; lo spigolo, nella forma, ha analogia con il contrasto cromatico e chiaroscurale.
C’è un altro elemento essenziale a un quadro d’insieme degli spazi d’abitazione: la funzione d’uso.
La funzione d’uso ha due aspetti. Il primo è quello relativo all’ergonomia degli spazi e all’organizzazione dei luoghi; il secondo è quello che si può chiamare l’aspetto vissuto della funzione d’uso, ovvero il riflesso interiore che la destinazione d’uso di uno spazio sollecita.
L’individuo che si accinge ad una funzione consona alla destinazione d’uso di uno spazio predispone la sua interiorità a quella funzione. Una cucina, un soggiorno, lo studio di un matematico, il laboratorio di un orafo, ecc. sono luoghi nei quali ci si predispone a stati d’animo diversi. Organizzazione dello spazio, ergonomia, forme e colori non devono ostacolare quella funzione e quegli stati d’animo, ma anzi devono accompagnare l’attività propria di chi vive quello spazio. Un luogo è predisposto per un lavoro di concentrazione e di pensiero intensi, un altro luogo è predisposto per un’energica attività fisica, un altro ancora è pensato come fucina di attività creative o per un lavoro ripetitivo. Questi luoghi diversi hanno bisogno di cromie diverse. I colori, gli accordi cromatici prescelti, le tecniche di applicazione del colore vanno accordati con le qualità interiori messe in gioco in quello specifico spazio, con l’aiuto di quelle qualità oggettive del colore illustrate nella prima parte di questo scritto. È necessario immergersi nello stato d’animo di chi svolge una determinata attività ed estrarne il carattere intersoggettivo, senza tener conto, in prima approssimazione, dei tratti specifici di una singola personalità. Tuttavia, se il luogo del progetto è destinato all’uso di un singolo, non è possibile prescindere da gusti personali, da simpatie o antipatie soggettive per un determinato colore. La scelta cromatica terrà conto del fatto che non si può costringere nessuno ad un colore per il quale prova avversità, o almeno quel colore non sarà usato come timbro fondamentale o come dominante nel contrasto di quantità (Itten – L’arte del colore – Il saggiatore – Milano).
Non fornisco qui esempi illustrativi delle linee guida generali appena tracciate, perché schematizzare il progetto del colore significa cancellare proprio l’aspetto creativo libero, che consente sempre nuove possibilità ad ogni progetto, pur nella coerenza con quella che chiamo – in consapevole opposizione alla scientifica soggettività del colore – “realtà del colore”. Direi che ogni situazione ha un numero molto ampio, pressoché illimitato di soluzioni cromatiche, ma questo ventaglio di scelte non implica arbitrarietà, se si coniugano legge e libertà; proprio come in natura, dove esiste un’infinita varietà di piante che, rispondendo alla stessa legge della vita, hanno forme e aspetto radicalmente diversi.
Se si considera la destinazione d’uso da un punto di vista interiore, si devono cogliere prima quegli aspetti generali che orientano su una gamma cromatica corrispondente. Un lavoro di pensiero, ad esempio, orienta la scelta cromatica verso un azzurro, che esprime capacità di distacco: il pensiero astratto non ha empatia con la realtà, ma si propone come una distaccata osservazione di essa; allo stesso tempo il pensiero si presenta come luce che illumina ciò che prima era nell’ombra e quindi come un chiarore giallo. Questi pensieri scarni definiscono l’ossatura di quella policromia che è sempre un luogo vissuto.
Azzurro come dominante spaziale (maggiore quantità di spazio colorato); giallo chiaro come contrappunto per un contrasto caratteristico. A questa coppia cromatica si può aggiungere ancora qualche nota di colore che si accordi con la personalità che abita lo spazio: le sfumature dal lilla al viola portano il colore della vita interiore (Itten – L’arte del colore – il Saggiatore); quelle dall’arancio al rosso orientano verso un calore fisico, attivo nella realtà pratica, mentre il verde scaturisce come conseguenza della mescolanza di giallo e azzurro e porta la quiete; affiancato all’azzurro, invece, diviene portatore di monotonia.
Il porpora, anch’esso colore di equilibrio, riassume in potenza la forza attiva del rosso e il raccolto ardore interiore del viola. Il verde è un equilibrio antico giunto alla quiete, il porpora è un equilibrio dinamico alla incessante ricerca di sé.
Negli ambienti interni il colore può sostenere l’uomo che li abita ma può anche ostacolarlo. Sostenere vuol dire accordare la cromia all’attività interiore del sentire (sensazione-sentimento), perché è con quella sfera umana che colloquia il colore, producendo benessere o malessere. La psiche, l’anima dell’uomo è sempre attiva: progettare il colore richiede di immedesimarsi nelle qualità di quella attività, alla ricerca dell’accordo cromatico che meglio la rispecchia.
Se l’ambiente interno di cui si vuole progettare il colore è un ambiente pubblico, l’unico riferimento è la destinazione d’uso alla quale sono associati i sentimenti sollecitati dall’attività umana che in esso si svolge e quindi i relativi colori che accompagnano quelle manifestazioni della psiche. E’ importante mantenere in questi spazi una certa varietà cromatica che consenta ad ogni individuo, per quanto possibile, di trovare un “luogo” cromatico di simpatia.
Non possiamo qui trattare gli aspetti del progetto colore di esterni, che sono altrettanto complessi, ma fondati su basi del tutto analoghe, e cioè sul rapporto tra percezione e salute o, se si preferisce, tra immagine e psiche, dove l’una è nutrimento per l’altra.
Riconoscere oggettività al colore consente di avvicinarsi al suo linguaggio e trovare le fonti alle quali hanno attinto i maestri del colore. Alle medesime fonti appare necessario attingere con consapevolezza oggi, se si vogliono creare liberamente luoghi dove la vita pulsi. Luoghi così concepiti possono essere salubri e contribuire allo sviluppo di un’architettura fatta dall’uomo per l’uomo nella sua complessa integrità psicofisica. La salute scaturisce da una complessa interazione tra corpo, psiche e individualità; questa complessità pone la sfida fondamentale da raccogliere nella progettazione del colore.