La punizione: contenuti, forme e funzioni
di Helmut von Wartburg – dalla rivista „Arte dell’Educazione“
Il tema che stiamo per affrontare è la punizione nell’educazione secondo le idee di Rudolf Steiner. Potrebbe sembrare un tema estraneo alla pedagogia steineriana perché, come sapete, da noi i bambini vengono a scuola con gioia, e c’è un atteggiamento sereno, un’atmosfera serena in queste scuole; si potrebbe dire: Che cosa ha a che fare la punizione con un mondo così bello? Ma chi pensa così non è cosciente della realtà della vita; da una parte noi maestri non siamo mai dei maestri ideali, cerchiamo di fare il nostro meglio, ma non siamo mai proprio come Rudolf Steiner ha prospettato, e così sbagliamo tante volte e dobbiamo trovare altri mezzi oltre a quello dell’entusiasmo, della bellezza nell’insegnamento, qualche volta dobbiamo intraprendere anche per questo motivo il cammino del castigo.
D’altra parte sappiamo che i bambini portano, quando vengono in questo mondo, non soltanto le bellezze, non soltanto ciò che adoriamo in loro, la gioia di vivere la freschezza del loro essere, la fantasia; ma i bambini portano anche qualche difficoltà, e hanno in sé problemi che sono nati con l’esistenza, così qualche volta anche un maestro ideale può avere la necessità di punire un bambino per migliorarlo, per farlo diventare più cosciente.
Ha una certa importanza il fatto che la storia umana cominci con un peccato e con l’espiazione di questo peccato. Voi tutti sapete che il primo uomo vissuto su questa terra, Adamo, ha commesso un errore, ha fatto una cosa che Dio gli aveva proibito di fare ed è stato castigato. Possiamo dire che all’inizio della storia umana c’è questa grandiosa immagine del paradiso in cui l’uomo era ancora in uno stato celeste, poi egli è caduto nella tentazione, non ha potuto resistere alla tentazione che gli veniva mediante Eva, e che in Eva era giunta attraverso il serpente, Lucifero; e questa tentazione ha fatto sì che l’uomo peccasse e venisse espulso insieme ad Eva dal paradiso. Questa la possiamo prendere come un’immagine primordiale tale da poter insegnare a noi come dobbiamo considerare il castigo. Alla fine di questo racconto, nel terzo capitolo della Genesi, Dio dice, quando Adamo ed Eva sono già stati espulsi dal paradiso e devono vivere sulla terra; “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi – dunque come un dio – avendo conoscenza del bene e del male”.
Il senso di questo castigo è dunque quello di migliorare l’uomo, di farlo diventare più consapevole e di fargli prendere coscienza del bene e del male. Quando ci sentiamo costretti a dare una punizione, possiamo quindi ricevere tutto questo come un impulso a farci sempre pensare: un castigo non va dato per punire; lo dovremmo dare per migliorare l’uomo, per farlo diventare consapevole, per dargli coscienza del suo essere e di tutto il mondo. Se diamo il castigo in questo modo, esso sarà benefico per il bambino.
Vi posso raccontare una piccola esperienza, si potrebbe dire anche una grande esperienza, che abbiamo fatto nella scuola di Zurigo. In una prima classe c’erano due ragazzi un po’ turbolenti, ed i genitori di questi due ragazzi ci dissero: “Noi non diamo mai castighi, lasciamo fare ai bambini quello che vogliono, è questo il metodo più adatto per educare i bambini, così non avranno complessi, non avranno paura della vita, non faranno cose disdicevoli quando saranno grandi. Vedrete, quando arriveranno nell’età della pubertà saranno ragazzi molto buoni”. L’esperienza affermava il contrario. Il maestro di classe disse a quei genitori che questo non era un buon metodo, che i bambini hanno la necessità di essere educati qualche volta anche attraverso il castigo, e che non può avere un effetto positivo lasciar fare loro tutto quello che vogliono. Quei genitori non si lasciarono convincere e la successiva esperienza ha dimostrato che, arrivata la classe all’età di tredici, quattordici anni, quei due ragazzi erano i più difficili, i più infelici, non erano mai contenti e non riuscivano nemmeno a trovare il contatto con gli altri, con i maestri, e non volevano mai lavorare: si era ottenuto il contrario di ciò che i genitori avevano immaginato.
Si potrebbe portare altri esempi. Qualche volta bisogna condurre i bambini, se è necessario, anche attraverso i castighi; vediamo che questo problema non è estraneo alla pedagogia steineriana, ma fa parte dell’educazione, è un problema fondamentale della pedagogia.
Vogliamo anche parlare di come dobbiamo dare questi castighi. Noi vediamo che, nella vita, ogni uomo qualche volta viene punito, non tanto dal poliziotto o dal tribunale o da un impiegato dello stato, ma viene punito dal destino; a noi adulti è il destino quello che dà i giusti castighi. Per esempio possiamo fare quest’esperienza: per vent’anni non vediamo più un amico, perché è andato in America o in un altro continente. Poi lo incontriamo di nuovo e vediamo che è maturato, è diventato un altro uomo; non soltanto i suoi capelli sono più grigi, non solo ci sono le rughe e tutto quanto può testimoniare esteriormente che lui è diventato più vecchio, ma possiamo anche constatare che mentre prima era, ad esempio, un uomo facile ad arrabbiarsi, o molto geloso od orgoglioso, o con un qualunque altro difetto umano, oggi lui lo ha completamente superato: oggi è diventato un uomo completamente diverso. Questa è una bella esperienza. Se diciamo a quest’uomo che lo sentiamo cambiato, maturo, e gli chiediamo come tutto questo sia avvenuto, egli non ci dirà: “attraverso le esperienze belle della mia vita” , dirà piuttosto: “mediante le sofferenze, le malattie o mediante il destino che mi ha tolto una persona cara, o per altre cose ancora che mi hanno fatto soffrire; tutto questo mi fa fatto maturare: non le esperienze gioiose, ma molto di più le cose che mi hanno fatto piangere, dure e pesanti. Ora lo sento: nel momento in cui mi sono successe ero solo, triste e non potevo capire perché proprio a me dovessero succedere tutti questi gravi avvenimenti, ma poi ho capito che mediante queste sofferenze sono cresciuto nella mia anima”.
Possiamo vedere in questo un elemento di purificazione, di crescita, che il destino ci porta per mezzo dei castighi impostici durante le nostra vita. Possiamo persino osservare che il destino usa una certa tecnica. Facciamo un esempio: un uomo ha la tendenza ad arrabbiarsi con facilità e in questi casi diventa così furioso da fare cose ingiuste, spesse volte succede che l’uomo nella rabbia, sbagli e gli capiti. Ad esempio, di rompere un vaso prezioso. Se questo non lo farà riflettere ed egli penserà: “m io mi dovevo arrabbiare!” continuerà di certo nel suo atteggiamento. Allora dopo qualche settimana o qualche mese potrà succedergli un’altra cosa: un suo bambino gioca con un certo giocattolo nel momento in cui, secondo lui, avrebbe invece dovuto apparecchiare la tavola.
Quando il padre si avvede che non ha apparecchiato, si infuria e distrugge il giocattolo: a questo punto arriva la madre chiarendo che il bambino non sapeva che avrebbe dovuto apparecchiare: è un errore grave per il padre, che ha distrutto il giocattolo in un’azione ingiusta. Se lui riflettesse poco su quanto è avvenuto e continuasse come prima, certamente gli succederebbe qualcosa di ancor più grave. Ora non voglio inventare un esempio, ma lo potete immaginare.
Se un uomo non comprende i segni del destino quali moniti affinché cambi il suo atteggiamento, il suo modo di vivere, se non riflette in questo modo e non muta niente, succederà prima o poi qualcosa di più grave che lo costringerà a riflettere e a migliorare il suo modo di avere un certo rapporto con gli altri.Possiamo così constatare che il destino in molti casi – non sempre, ma a me ed anche a molte persone di mia conoscenza è successo varie volte – si manifesta in modo tal da educare l’uomo durante la sua vita.Nel culto che celebriamo nelle scuole steineriane, in quel culto attraverso il quale i bambini vengono portati dall’infanzia alla gioventù, alla fin viene detto loro: “Ora vi lascio andare a nella scuola della vita, finora avete seguito la scuola dei bambini, adesso potete entrare nella scuola della vita”. Dunque la vita anche per noi è una scuola, non abbiamo più maestri umani, succede anche questo, ma in genere è il destino che diventa il nostro maestro, ci conduce, ci porta sofferenze ed eventi che ci possono servire come il castigo dei bambini.
Il bambino, fino ai quattordici anni, ed in un certo senso anche dopo, vede nel maestro, o nell’adulto, come un essere superiore: egli non è ancora capace di guidare se stesso, la sua vita, di fare le cose giuste, è ancora bisognoso di avere una giuda umana. Quello che per noi adulti è destino, nel senso in cui ho cercato di mostrarvi, quello lo siamo noi adulti per il bambino: i genitori, i maestri o gli altri adulti che sono intorno a lui; ogni adulto dovrebbe sentire, quando è davanti ad un bambino: Io in verità sono ora il suo maestro, nel senso che devo agire così come il destino agisce sull’adulto. Il bambino si aspetta questo da me, sa, non con la sua testa, ma nella profondità della sua anima, che gli adulti sono i maestri che lo conducono nella vita, gli fanno capire qual è il cammino giusto per lui, come deve portare avanti la sua vita, indicandogli la via.
Per questo la più grande delusione che può avere un bambino nell’infanzia è quella di sapere che un adulto non vive questo dovere, non agisce nel modo adatto, così come invece agisce il destino nella vita degli adulti. Una conferma significativa di questo fatto viene data dall’episodio seguente: In una scuola Waldorf in Germania una maestra trova nel cortile un’allieva della 5° classe che piange dirottamente. “Perché piangi?” chiede la maestra. “ Perché la mia mamma non mi vuole più bene!” “Come puoi dire questo?” “Si , mi ha lasciata andare a vedere il film dei dinosauri, e io non ho potuto dormire per tutta la notte.” Per valutare questa esclamazione bisogna sapere che le ragazze di questa classe si erano messe d’accordo di dire ognuna ai propri genitori: “Io sono l’unica ragazza della classe che non può vedere questo film, tutte le altre l’hanno già visto.” Con questa bugia volevano quasi costringere i genitori a dar loro il permesso. Ma almeno questa allieva, nel sottofondo dell’anima, si aspettava che i genitori non si sarebbero lasciati ingannare e l’avrebbero protetta da una cosa talmente dannosa.
Il bambino porta in sé una conoscenza incosciente (è un paradosso, ma è vero): “L’adulto è una guida, che indica una giusta strada mediante l’amore, mediante tutte le cose che mi insegna, in certi casi anche mediante il castigo. “Questo significa, fra le altre cose, che non dovremmo mai dare un castigo per e con rabbia, anche nel caso in cui sia stata fatta una cosa che ci ha danneggiato, al fine di punire, quasi per vendicarci, per restituire il male che ci è stato fatto.
Ad ognuno qualche volta è successo di agire così, v devo confessare che anche a me è successo, ma ho sempre avuto una risposta negativa, perché il bambino non ha mai preso sul serio la punizione datagli.
Questa è un’esperienza profonda ed importante da fare: un castigo dato “per vendetta” non può migliorare il bambino, mentre avrà un effetto positivo solo il castigo dato per farlo crescere, anche quando forse non è quello adatto; se avremo punito senza questo spirito forse non è quello adatto¸se avremo punito senza questo spirito sicuramente si avrà un effetto controproducente.
Prendiamo un altro esempio: un maestro ha creato una bella fiaba, è talmente assorbito da questa fiaba, la vive con tale entusiasmo che ciò può fargli perdere la strada! Quando arriva a scuola e racconta la fiaba lo fa con molto entusiasmo. Anche i bambini lo ascoltano con entusiasmo, ma, quando arriva ad un punto di grande tensione da viversi con religiosità, perché la fiaba ha questo sottofondo di religiosità, proprio nel momento in cui l’ascolto richiede un atteggiamento di venerazione e di grande adorazione, e tutti i bambini vanno in quella direzione con la loro anima, ecco che allora uno dei ragazzi fa uno scherzo molto brutto: tutti si mettono a ridere e l’atmosfera è distrutta! Se in una tale situazione il maestro si arrabbia, prende il ragazzo, lo scuote un po’ e lo manda fuori, contribuisce a distruggerle ancor di più l’atmosfera; invece può dire: “Stai tranquillo che ora non è il momento”. Ma Se il maestro è così pieno della sua storia da lasciarsi afferrare dalla rabbia, il suo castigo non sarà utile e non servirà al bambino. Se invece gli dice: “Stai tranquillo”, e dopo, meglio ancora il giorno dopo quando il bambino ha già dormito, quando alla fine della scuola il bambino viene a salutare il maestro, gli si chiede: “Ti ricordi ieri come andava a finire la storia, e come nel momento in cui tutti ascoltavano così intensamente tu hai fatto quello scherzo?”, egli allora avrà vergogna, e ciò avrà un effetto molto più grande di una punizione scaturita dalla rabbia. Questo è un esempio.
Prendo ora un altro esempio citato in una conferenza di Rudolf Steiner, che riguarda un episodio accaduto nella scuola Waldorf dove lui era direttore. Una volta un giovane maestro, che aveva ancora poca esperienza del nostro medito, fece una cosa estranea a questa pedagogia: disse in una classe superiore che, a causa di un certo brutto comportamento, per punizione, i responsabili dovevano tornare nel pomeriggio a lavorare nella scuola; vennero poi però altri ragazzi a lamentarsi, perché anche loro avrebbero voluto venire nel pomeriggio!
Questo maestro aveva dato come punizione un lavoro; questa cosa non è giusta, non bisognerebbe mai dare un castigo così, poiché significa dichiarare: il lavoro è una osa brutta. Il lavoro dovrebbe essere una ricompensa, per i bambini almeno; in questo senso si sbaglia molto quando si dice, ad esempio: “Chi chiacchiera dovrà scrivere cinquanta volte la stessa frase: Io non devo chiacchierare”. Questo è un lavoro che non serve a niente, sicuramente il bambino continuerà a chiacchierare. Anche per questo fatto racconto un esempio ben calzante: un maestro voleva che i bambini gli dessero del lei, ma un allievo non riusciva proprio ad abituarcisi. Infine il maestro lo punisce dicendo: “Ora scrivi cinquanta volte la frase: io devo dare del lei al maestro, e non del tu!”.
Il giorno dopo, l’allievo porta a scuola il foglio con il compito fatto. Il maestro è contento e dice: “Lo hai fatto bene!” Il bambino risponde: “Davvero, eh,non ci avresti mai creduto che io potessi essere in grado di farlo così bene!” Un tal castigo dunque non è un castigo effettivo perché è un lavoro, ed il lavoro non è un castigo. Il castigo dovrebbe consistere piuttosto nell’escludere da una cosa bella, da un gioco, o, se è veramente molto grave, nell’escludere da una gita. Bisogna onorare il lavoro, e non fargli disonore prendendolo come una pena da scontare.
Un’altra cosa che non va bene è quella di dare castighi prestabiliti: se uno chiacchiera una volta scrive dieci volte una frase, se chiacchiera un’altra volta la scrive venti volte, eccetera. Questo non va bene, perché il bambino sente, anche se non lo capisce con la testa, che il maestro è senza fantasia, non può inventare niente di buono. Molto meglio dare impulsivamente un castigo, ma nel senso giusto.
Spesso racconto questo episodio accaduto nella nostra scuola: un maestro aveva un ragazzo che faceva cose molte brutte, qualche volta anche un po’ sudicie; un giorno alla fine della scuola gli disse: “Ora stai ancora con me”. Prese per mano il bambino, andò al tram, prese due biglietti, arrivò fino al capolinea senza mai parlare ed andarono insieme al giardino zoologico. Il maestro comprò due biglietti, andarano davanti alla gabbia delle scimmie e stettero lì per un quarto d’ora senza parlare, sempre senza dire niente, e poi tornarono indietro.
Qualcuno ha fatto l’osservazione che questo ragazzo avrebbe potuto sentirsi molto offeso, perché poteva intendere: “io sono una scimmia!” Questo dipende in buona parte dal rapporto che il maestro ha con i bambini. Ho conosciuto questo maestro, anche come genitore di un mio scolaro, ed egli aveva un grande amore per i bambini, li aveva sempre presenti, anche più dei suoi. Se non fosse stato così, il bambino avrebbe di certo potuto fraintendere, ma aveva coscienza che il maestro voleva aiutarlo, e che il significato di quell’azione era: “Così sembri una scimmia faccia così, ma tu sei un uomo, devi fare in modo diverso”.
Un altro episodio accaduto a Rudolf Steiner e che viene spesso raccontato è questo: c’era un ragazzo che giocava sempre con la palla facendola rimbalzare contro l’interruttore della luce elettrica, al primo piano della scuola, e quando lo colpiva tutto il palazzo rimaneva senza luce. Un giorno mentre Rudolf Steiner stava dipingendo i tre re per la recita di Natale, e poiché questo ragazzo continuava nel suo gioco, un signore lo condusse davanti a lui proprio mentre stava per dipingere il re nero: Rudolf Steiner dipinse di nero con il pennello tutta la faccia del bambino, dicendogli poi: “Ora va fuori”. Ed il bambino non giocò più così. Si potrebbe dire che se il maestro avesse avuto un atteggiamento malevolo, il bambino si sarebbe potuto semplicemente offendere, ma trattandosi di Rudolf Steiner,con il suo grande more per gli altri, il bambino sentì che era una cosa scherzosa, ma anche una piccola punizione che lo avrebbe potuto aiutare a crescere.
Vediamo in questi casi che la punizione pretende molta fantasia dal maestro, dall’adulto. L’adulto dovrebbe cercare il più possibile di non prestabilire le punizioni, di non sapere prima che punizione dare, ma di essere abbastanza ingegnoso da trovare sul momento il castigo giusto per un’azione, e in modo che il castigo non sia sempre lo stesso per la medesima azione. Lo sforzo che il maestro fa per trovare ad ogni occasione un nuovo modo di punire aiuta anche il bambino a crescere, perché sente questo sforzo nel maestro. Potremo così constatare che ogni punizione data con questo atteggiamento è sempre fruttuosa nella vita, già durante la vita scolastica ma anche dopo, quando non è più la scuola non sono più i maestri, non sono più gli adulti a guidare il bambino ormai adulto, bensì il destino, le forze divine. Se comprendiamo bene queste cose possiamo anche capire il senso del castigo per il peccato primordiale. Qui vorrei aggiungere una cosa che mi pare molto bella e molto importante.
Rudolf Steiner ha avuto la fortuna di incontrare a Vienna, dove studiava, un maestro di grande valore che fra le atre cose aveva conservato dei testi di antiche recite che provenivano da un’isola sul Danubio, dove vivevano dei tedeschi immigrati in quella regione. Il maestro era stato in quel luogo e aveva assistito a queste recite che ancora venivano fatte. Fra queste ve n’era una che si chiamava “L’albero del paradiso” , che presedeva quella della Natività secondo il Vangelo di Luca, nel quale la nascita di Gesù viene annunciata ai pastori che vanno ad adorarlo, e quella dei tre Magi con Erode, il diavolo e tutto ciò che troviamo nel Vangelo di Matteo. Tutto questo viene preceduto dalla recita sul peccato originale.
Qualche tempo fa abbiamo presentato questa fiaba in una città italiana, nella traduzione di Giannina Noseda. Mi è stato detto, dopo, che alcuni spettatori l’avevano sentita come una cosa non più adatta al nostro tempo, e che il castigo non era rappresentato in modo corrispondente alle necessità dell’epoca odierna, che oggi non si poteva più dare un castigo così come era stato dato da Dio ad Adamo solo perché egli non aveva fatto ciò che gli era stato ordinato. Mi sono detto che questo proviene dall’atteggiamento dell’uomo d’oggi. Noi in genere non sappiamo più cosa sia il castigo, lo prendiamo come qualcosa che ci viene imposto da forze a noi estranee, non me qualcosa che fa parte del nostro destino, dell’essenza umana. Prendendo le cose in questo senso possiamo dire: “Questa recita è antiquata, non si dovrebbe più rappresentarla, perché appartiene ad un tempo passato. “La recita contiene a volte parole della Bibbia, e viene detto all’inizio: questa recita non è inventata da noi, ma è stata presa dalle Sacre Scritture.
Queste sono oggi poco comprensibili per il modo di pensare comune e per lo stato d’animo in cui esso è collocato. Per comprenderle nel modo adeguato ai nostri tempi l’uomo deve sviluppare nuove capacità. In questa storia noi viviamo come il castigo possa condurre l’uomo ad acquistare la coscienza e la conoscenza di se stesso e del proprio rapporto con la dignità; e proprio questo è inserito nel percorso di questa recita in un modo meraviglioso.
Alla fine infatti Dio dice:
Guarda Adamo che molto ha conquistato
Simile a un Dio lui stesso è diventato
Quello che è bene o male adesso sa
E se le mani al cielo leverà
avrà la vita per l’eternità.
Queste parole devono essere dette con una solennità serena e luminosa, per far sentire al pubblico che questa trasformazione animica di Adamo è l’avvenimento centrale di tutta la recita. Questa atmosfera può già essere preparata con il modo in cui Dio parla con Adamo nelle prime scene. Quando dà il divieto di mangiare i frutti dell’albero, nella voce non deve esserci solo la severità, ma anche una sfumatura di amore e benevolenza. Bisogna sentire: Egli vuole con queste parole preservare Adamo dal commettere l’errore e dalle conseguenze che ciò produrrebbe. E quando Egli punisce l’uomo, dobbiamo capire dal timbro della Sua voce che lo fa non soltanto con l’ira divina, ma anche con grande tristezza.
E’ questa è l’ultima cosa che vorrei aggiungere: anche per la vita quotidiana del maestro vale questa regola. Quando egli è costretto a dare una punizione dovrebbe sentire un dolore grande almeno quanto quello del ragazzo, altrimenti non si avrà l’effetto desiderato.
Quanto ho detto finora può essere un esempio di come deve essere il castigo. Se il castigo sarà stato dato in questo senso otterrà sempre come risultato che il bambino saprà un po’ meglio cosa è bene e cosa è male, sarà diventato un po’ più cosciente. E questo è – come abbiamo detto all’inizio – lo scopo vero di ogni castigo dato con l’atteggiamento giusto.