Paura nell’infanzia e suo superamento

(da un testo di Michaela Glockler apparso sulla rivista “Arte dell’Educazione”)

“Nel mondo voi avete tribolazioni, ma siate fiduciosi, là dove io sono, la paura viene sconfitta.” (Vangelo di Giovanni, cap.16)

La paura è sempre legata a una perdita del senso di protezione, all’esperienza della separazione e dell’isolamento. In questo contesto, dal punto di vista psicologico, si è sempre richiamata l’attenzione sull’importanza del taglio del cordone ombelicale al momento della nascita. Quando il bambino cresce nel grembo materno si trova nella più pura condizione di protezione e sicurezza. Poi viene la nascita. Il bambino viene spinto e schiacciato fuori da questo contesto, in cui si è sperimentato nuotando, fluttuando, sognando, ed è collegato solo tramite il cordone ombelicale, che subito dopo viene tagliato. Il bambino è nel mondo, sperimenta il freddo, la luce, i rumori e la separazione. Quando poi viene preso in braccio, accudito, riscaldato, nutrito, curato, accarezzato amorevolmente, allora rivive la sensazione di protezione. La vita dei primi mesi scorre in un ritmico alternarsi di esperienze di separazione e di protezione. I momenti frequenti in cui il bambino viene allattato, fasciato e pulito, preso in braccio, lo fanno sentire protetto. Le necessarie pause tra questi momenti, in cui per lo più dorme, lo abituano al fatto di essere separato. Se l’esperienza del sentirsi protetto si ripete regolarmente, la separazione non viene collegata alla paura e il bambino acquisisce una familiarità con il fatto concreto di una propria esistenza individuale e dello stato di separazione che ne consegue. Nel corso del secondo anno di vita si completa il passaggio dal senso elementare di protezione, vissuto a livello fisico, a un senso di protezione più animico. La percezione dell’ambiente familiare e delle persone conosciute dà una sensazione di sicurezza e protezione, anche quando magari il bambino gioca da solo nella sua cameretta o addirittura mentre si allontana dalla mamma. Se tuttavia arriva una persona estranea, o se in casa cambia improvvisamente qualcosa, il bambino reagisce con paura e cerca rifugio nelle braccia della mamma o si reca nelle sue immediate vicinanze. Un avvenimento di questo genere può rendere evidente quali effetti abbia in genere la paura nella vita umana: rafforza in modo enorme la coscienza di sé. Quello che inizialmente, nell’esperienza della separazione, ricorda l’esperienza di se stessi nella differenziazione con l’ambiente circostante, viene ampliato dal fatto che ora si aggiunge il senso di insicurezza, di apprensione, e anche di paura di quanto è estraneo, forse pericoloso e sconosciuto. Nell’esperienza di questo avvicendarsi dell’insorgere della paura e dell’essere tranquillizzato nella protezione, sta il punto essenziale per lo sviluppo della coscienza di sé. Ritrovare il senso di protezione rafforza la fiducia nell’esistenza. Sperimentare e sopportare la paura rafforzano la coscienza di sé e la scoperta di sé in ciò che è diverso da sé. Si può addirittura dire che senza l’esperienza della separazione non sarebbe possibile l’esperienza del proprio sé e di conseguenza neppure della coscienza di sé.

Un bambino si trova, improvvisamente, durante una passeggiata, diviso dai genitori e solo, nell’affollato caos della strada. Il primo bisogno dell’io diventa la disperata ricerca dei genitori. E quale beatitudine viene sperimentata poi quando li ritrova!

Se la coscienza di sé è sviluppata a un punto tale che i bambini dicono”io” parlando di se stessi, allora l’iniziale paura dell’estraneo e della separazione è passata e con questo anche la paura connessa con la corporeità. Un bambino di tre, quattro anni non ha più bisogno della continua presenza fisica dell’adulto. Spesso si divincola per liberarsi già dopo un breve abbraccio, non vuole più starsene a lungo in braccio come un neonato. L’esperienza del senso di protezione si distingue sempre di più dal fisico e assume un carattere animico. Non si vuole più ad ogni costo toccare la mamma o il papà, vederli ed essere visti è sufficiente. E anche questo è importante. Bastano un paio di parole nel frattempo, un piccolo aiuto, e poi, i bambini possono di nuovo giocare per una-due ore. Quando sono in condizione di sopportare senza problemi la separazione dai genitori per una mezza giornata o una giornata intera, allora i bambini sono maturi per l’asilo.

Paura e coscienza

Possiamo distinguere tre diverse tappe:

1) la paura legata al corpo, che è connessa alla condizione di essere separati fisicamente e che può essere superata dunque solo attraverso un contatto fisico;

2) la paura più animica della separazione e di ciò che è estraneo, che può essere superata vedendo una persona familiare;

3) la paura vissuta nella coscienza pensante, quando per esempio il bambino trova a casa solo la sorella e allora domanda spaventato dove siano i genitori. Qui è di aiuto il pensiero: i genitori sono solo andati a fare la spesa, torneranno presto, e il senso di sicurezza viene ristabilito.

Questi tre stadi vengono vissuti da ogni essere umano nel corso dei primi tre anni di vita. Nella loro successione, essi mostrano una legge regolare, che nel corso della vita si ripeterà ulteriormente, a intervalli maggiori. Se prendiamo in considerazione la giovinezza, si può dire che in tutto il periodo prescolare prevale la paura legata al corpo connessa alla possibilità di trovare conforto nell’essere preso in braccio. Nell’età scolare fino alla pubertà hanno la prevalenza le paure più legate al sentimento: la paura di fallire, la paura di un nuovo insegnante, la paura dell’estraneo e dello sconosciuto. Questa paura viene mitigata con parole tranquillizzanti da parte di persone in cui si ha fiducia, attraverso uno sguardo incoraggiante e l’essere nelle vicinanze di persone amate.

Dopo la pubertà si affaccia la paura vissuta a livello cosciente-pensante. All’adolescente diventa chiaro che un giorno dovrà vivere assumendosi la propria responsabilità e che potrà trovare protezione e sicurezza nella propria vita solamente attraverso un’armonia con se stesso e dovrà fare affidamento sulle proprie forze. Il senso di sicurezza fisico o animico rimane incompleto se la coscienza pensante non partecipa a questo processo. Perciò il giovane cerca di elaborare con il pensiero la propria paura e di superarla da sé. Intraprende persino azioni spericolate, per dimostrare a se stesso di avere la capacità di superare la paura. Vorrebbe diventare padrone della paura e di se stesso in modo totale e consapevole.

Un undicenne , perciò, si lascia ancora consolare da parole affettuose, un sedicenne al contrario non ha più alcun bisogno di un’atmosfera consolatoria e di parole rassicuranti, che in fondo non riguardano la sostanza della questione. Ha bisogno di risposte, che contengano pensieri su cui si possa orientare e appoggiare.

Questa suddivisione in tre livelli può essere osservata anche pensando a tutto il corso della vita.

Nell’infanzia e nell’adolescenza, durante tutto il periodo della crescita, si è felici di avere una casa in cui si può sempre ritornare e dove qualcuno provvede al proprio benessere fisico. L’idea di dover fare tutto da soli, tutto ciò che ha a che fare con il nutrirsi e il vestirsi e con tutta l’organizzazione della vita esteriore, è ancora, fino alla gioventù, un incubo piuttosto che un’idea allettante. Si è contenti che la mamma o il papà si preoccupino ancora praticamente di tutto e rompono questi schemi solo i giovani che incontrano incomprensione o che non hanno una vera e propria casa.

I giovani adulti, al contrario, aspirano spesso con vera veemenza a organizzarsi una vita autonoma e ad allontanarsi dalla casa dei genitori. Si confida in se stessi e si ritiene di essere in grado di badare a tutto quanto riguardi l’esistenza fisica. A questo punto però si affacciano paure legate ad aspettative e a fallimenti. Il superamento di queste paure animiche e il consolidamento dell’esistenza interiore sono in prima posizione.

Verso la fine dei trent’anni, all’inizio dei quaranta, lo sviluppo animico raggiunge una certa maturità. In famiglia e nel lavoro il rapporto con gli altri si manifesta in un modo assolutamente diverso da quando si era all’inizio dei vent’anni. La sicurezza interiore e la fiducia in se stessi hanno raggiunto un notevole livello. Su questa base di partenza possono dunque venir poste nuove domande nella terza parte della vita, che sono ormai più orientate ad accertare l’esistenza spirituale. Qual è il senso della vita?

Ci sono davvero valori eterni all’interno di una biografia?

Cosa c’è dopo la morte?

Domande di questo tipo possono ovviamente sorgere anche nelle precedenti età, ma possono essere elaborate in modo assai diverso nella terza parte della vita.

Riguardando indietro alla propria esistenza è evidente come ogni età abbia avuto le sue paure e i suoi pericoli, e come grazie all’elaborazione di queste insicurezze e problemi si debba la successiva sicurezza e stabilità.

Diventa chiaro che il rapporto con la paura ha un’importanza centrale per tutta la vita terrena: destare l’individuo a domande di tipo conoscitivo sulla propria esistenza e sul rapporto con il mondo e con tutte le creature che vi appartengono. Sì, l’esperienza stessa che si possa passare attraverso così tante insicurezze senza smarrirvisi viene addotta a prova del fatto che l’essere spirituale dell’uomo, per sua natura, non dipende dai rapporti vicendevoli della vita terrena, bensì viene piuttosto inserito al loro interno allo scopo di conoscere se stessi e il mondo e instaurare un rapporto consapevole con la totalità del creato.

La coscienza di sé raggiunta e i risultati di questa esperienza diventano parti irrinunciabili dell’essere spirituale che l’uomo è per sua intrinseca natura. Se l’essere umano si è aperto un varco a questa concezione del proprio essere soprasensibile, allora la paura è superata e la condizione di insicurezza e di separazione risolta. Egli sente se stesso come un essere spirituale all’interno della comunità di altri esseri spirituali e riconosce che la separazione, il disagio esistenziale, e la paura possono venir provati sulla terra solo se si resta rinchiusi dentro a un corpo fisico. Allora si comincia a comprendere il passo del Vangelo, che dice che noi abbiamo paura in questo mondo, ma nell’unione con Lui si risveglia la forza della vera conoscenza di noi stessi, che supera la paura.

Come aiutare a gestire il contatto della paura nelle diverse età della vita
Da quanto finora esposto può essere chiaro che la comparsa della paura è collegata da un lato alla realtà della separazione e dall’altro alla minaccia, che si sperimenta come singolo individuo nei confronti di un ambiente circostante opprimente. Si prova paura o perché viene scatenata dall’interiorità per la consapevolezza di essere soli e deboli, oppure perché provocata dall’esperienza di un’influenza esterna soverchiante. Perciò anche le modalità per il superamento delle paure nelle diverse età della vita devono sempre venir elaborate tenendo presenti i due aspetti.

Come si può dunque aiutare un bambino a superare la consapevolezza della propria fragilità, separazione e solitudine?

Innanzitutto facendogli vivere con ripetuta regolarità l’esperienza del senso di protezione. Nel bambino piccolo, questo avviene attraverso un abbraccio protettivo e l’amorevole cura quotidiana. Nel bambino più grande trasmettendogli sicurezza animica e nell’adolescente facendogli sentire che si è interiormente vicino a lui, che lo si porta nella coscienza e che si è sempre disponibili al dialogo. Questi sono gli aiuti fondamentali nel rapporto con la paura che sorge dalla propria interiorità.

Più difficile è affrontare la paura che viene scatenata da una minaccia che proviene dall’esterno. Infatti, in questo caso, anche la maggior parte degli adulti è confusa e incapace di fare i conti con le proprie paure. La distruzione dell’ambiente, la minaccia atomica, le sostanze nocive nei prodotti alimentari, le catastrofi naturali e belliche – come si può imparare a superare la paura di queste cose? Come veniamo a capo di queste realtà?

Effettivamente sono questioni obiettivamente inquietanti.

Non abbindoliamo i bambini, quando desideriamo trasmettere loro senso di protezione mentre noi stessi abbiamo paura? Questo oggi per molte persone è anche una questione di onestà. Vivono fisicamente e animicamente in modo assai elementare i pericoli che vengono dal mondo esterno come una vera e propria minaccia esistenziale. Ed è estremamente chiaro che questa paura non può sparire dovrà permanere fino alla morte per coloro che non riflettono sulla possibilità della propria evoluzione spirituale. I fatti reali che agiscono dall’esterno, per esempio il fatto che tutti dobbiamo morire, che esistono la malattia, il bisogno, i conflitti di potere, e persino la possibilità del male, continueranno a esistere. Se non si riesce a porsi in un nuovo rapporto nei loro confronti e a riconoscere il loro significato per l’evoluzione spirituale dell’essere umano, allora la paura di queste cose non potrà mai venire realmente superata. E’ indispensabile , per coloro che vogliono consolare onestamente i propri bambini e aiutarli a superare le loro paure, essere anche disposti a lavorare al superamento delle proprie paure. Questo sarà un ulteriore aiuto per il bambino. Se invece ciò non accade, allora comunichiamo al bambino le nostre paure inespresse, così che il bambino sarà doppiamente pervaso dalla paura: dalla propria, specifica dell’età che sta vivendo, e quella degli adulti che gli sono vicino, che egli istintivamente condivide. Se il bambino sente che la mamma ha paura di molte cose esterne, nella sua vita, ma che impara a proteggersi e a lavorare al superamento di questa paura, allora un atteggiamento simile gli dà sicurezza: quando sarò grande, sarò capace anch’io di fare così. Poiché i bambini non sono ancora in grado di elaborare spiritualmente la paura, essi sono in balia della loro paura in un modo assolutamente diverso dagli adulti.

In questo contesto è importante rendersi conto che lo sviluppo della paura e della consapevolezza vanno di pari passo: la consapevolezza della separazione, della minaccia e della sopraffazione che scatenano la paura. Tanta più consapevolezza, tanta più disposizione potenziale alla paura. Quali sono i contenuti della coscienza che fanno paura? Sono tutti quelli che non si comprendono o che non si possono elaborare, nei confronti dei quali non ci si sente all’altezza. Tanto prima, dunque, la consapevolezza del bambino viene risvegliata e coltivata attraverso spiegazioni dettagliate su questo e su quello, tanto più forte diventa la sua disposizione ad avere paura di questo e di quello. Ci sono persone che conoscono bene determinati ambienti politici ed economici e di conseguenza sanno che cosa sta accadendo nel proprio paese o in diversi luoghi della Terra. Essi soffrono di fronte a una catastrofe potenziale, perché vedono una valanga potenziale che si ingrandisce sempre più. Sono pieni di preoccupazioni e di paura, mentre chi, nel suo ambiente non ne sa assolutamente nulla, se ne sta tranquillo anche di fronte a una minaccia reale. E’ importante, nel trattare con i bambini, non fornire loro alcuna conoscenza di ciò di cui non abbiano anche un’esperienza concreta che dia loro sicurezza. Ciò che è familiare, comprensibile, recuperabile allontana la paura e crea sicurezza.

Quando lo sviluppo della consapevolezza va di pari passo con la capacità di elaborazione dei contenuti della consapevolezza e della reale comprensione, abbiamo un aiuto decisivo per superare la paura.

Come può allora l’adulto superare la paura e imparare a gestire i contenuti della propria consapevolezza non ancora elaborati?

L’aiuto decisivo ci arriva dalla riflessione sul senso della paura, sul significato del male e di ciò che è distruttivo nel mondo.

Domandiamoci che cosa accadrebbe se le piante, gli animali e gli uomini non venissero distrutti e non potessero morire. La Terra non potrebbe essere uno spazio per il loro sviluppo. Tutto sarebbe già compiuto, trasformazione e cambiamento, rifiorire e divenire sarebbero impossibili. E diventa chiaro alla nostra coscienza il fatto sorprendente che lo sviluppo è possibile solo in quanto esistono il decadimento e la morte, grazie a cui è sempre possibile un nuovo inizio e una nuova creazione.

Anche la vita dell’uomo tra stato di veglia e sonno è inserita in questo ritmo di distruzione e ricostruzione. I nostri organi, di giorno, si logorano mentre di notte vengono rigenerati e ricostruiti. Senza questi processi quotidiani di distruzione noi non potremmo sviluppare alcuna consapevolezza; infatti è di notte che la nostra coscienza è spenta, quando il nostro organismo si rigenera e le strutture usurate vengono nuovamente ricostruite. Se si presta attenzione a questa concatenazione, allora diventa chiaro anche il significato legato alla realtà del male e della distruzione. E tutt’a un tratto non è più predominante la paura del male, ma si risveglia la comprensione del motivo per cui tutto ciò avviene. Rendersene conto richiama a una profonda serietà, ma anche a una quiete dell’anima del tutto nuova, e la paura scompare di fronte a ciò che ha un senso e che è comprensibile. Segue ora una seconda domanda: come si può cogliere una realtà duratura quando tutto diviene e trascorre, un “fondamento stabile” quando tutto si sviluppa, un “bene eterno” quando tutto è effimero? Nella ricerca della risposta, è di aiuto la riflessione sulla natura del pensiero. Si può portare alla coscienza che anche il pensiero relativo alla nostra personalità, l’Io individuale, partecipa all’universale vita di pensiero che permea il mondo. Si può scoprire che a ogni pensiero corrisponde qualcosa nel mondo; che ogni legge è in relazione a un qualsiasi effetto reale nel mondo. Ogni pensiero, ogni legge di natura, ogni formula matematica può essere da qualche parte realizzata o applicata in modo percepibile ai sensi. Per quanto transitorie possano essere le manifestazioni percepibili ai sensi, tuttavia restano fisse, imperiture e indistruttibili le forme, le leggi e i pensieri che si riferiscono alla realtà transitoria. Così, per esempio, sono valide le leggi matematiche che possono venire recepite attraverso il pensiero in tutto il mondo e possono essere scoperte dalle persone più diverse. Una buona lezione a scuola aiuta gli allievi a trovare da soli tutte le leggi della natura che vengono trattate nel corso del lavoro. Perfino scoprire da soli il teorema di Pitagora.

Chi da adolescente ha potuto imparare a pensare e a sperimentare in questa maniera, troverà più facile individuare nel proprio patrimonio creativo di idee il primo punto di appoggio per quello che è imperituro e indistruttibile nella propria essenza eterna, Infatti il pensiero del sé individuale è altrettanto indistruttibile e sempre rintracciabile nel mondo, come tutti gli altri pensieri.
Ed ecco che segue allora, quasi da sé, la domanda relativa alle ripetute vite terrene.
Non potrebbe essere la propria vita come la vita di una rosa, che può continuare a crescere e a realizzarsi nel mondo sensibile?
Ogni essere umano non è forse unico e inconfondibile, così come ogni tipo di rosa è unico e inconfondibile?
Così come una legge della natura può essere pensata indipendentemente dalla sua efficacia, si può pensare anche allo spirito umano indipendentemente dalla sua incarnazione?
Lo spirito umano non è anch’esso parte dell’essenza dei pensieri nel mondo, ed è superiore al divenire e allo scomparire, e appartiene alla cosiddetta eternità?
Esistono già oggi libri in cui madri raccontano le esperienze avute con i loro bambini, non ancora nati, durante il concepimento o la gravidanza. Altre riferiscono le proprie esperienze con i figli morenti. Da questi racconti risulta come la vicinanza e la presenza dei bambini venga percepita chiaramente anche quando essi non sono ancora nati nel mondo visibile oppure dopo che hanno lasciato questo mondo sensibile.
Temi di questo tipo ci aiutano a superare la paura. Al posto della paura della morte e dell’esistenza, subentra una profonda fiducia nella sostanzialità della propria esistenza spirituale. La paura si rivela come appartenente al mondo del passato, in cui ci viene data la possibilità, attraverso essa, di evolvere. Il mondo spirituale si manifesta come un mondo senza paura e pieno di stabilità, ma, proprio per questo, privo della possibilità di sviluppare qualcosa di nuovo. Il senso dell’incarnazione sulla Terra, nel mondo del perituro, può dunque venire esperito in modo nuovo. Come il neonato ha necessità dell’alternarsi dell’esperienza della separazione e di quella del senso di protezione per poter destare la coscienza di sé, così l’essere umano ha bisogno del senso di protezione nel mondo spirituale, dove, come essere pensante, è inserito nella consistenza dell’Essere eterno, per poi risvegliare la consapevolezza del sé individuale nell’incarnazione terrena, separato dalla sostanza del mondo, e per riconoscersi come essere umano nella sua unicità.
Alla nascita sono in primo piano l’esperienza della separazione fisica e la possibilità della paura. Nella morte, invece, risplende la sublimazione della separazione e la comunione con la protezione del mondo spirituale.

Porsi domande sulla vita e sulla morte può aiutare l’adulto nel lavoro per il superamento della propria paura; l’uomo diviene consapevole del proprio legame con il mondo spirituale, della propria sicurezza nel mondo dei pensieri.

Le persone che non hanno elaborato una sicurezza interiore possono trasmettere soltanto una sicurezza fisica e animica. Possiamo vedere a volte una persona simile che sorveglia in modo esagerato il suo bambino. Questo comportamento può essere ulteriormente accentuato dal fatto che si richiama prematuramente l’attenzione del bambino su ciò da cui deve stare in guardia. Attraverso la costruzione di numerose imposizioni e molti divieti, con cui si vorrebbe proteggere il bambino, si accentua la sua disposizione alla paura. La vera sicurezza contiene anche una grande fiducia interiore nel destino del bambino. Proprio i bambini apprensivi hanno bisogno non solo di sentire la protezione fisica, ma anche di percepire la sicurezza interiore dell’adulto.

La possibilità di un’elaborazione della paura personale e consapevole si presenta solo a partire dai 12-13 anni, quando si desta la capacità di avere dei pensieri autonomi. Un grande aiuto, fino a questo momento e anche in seguito, è la cura della vita religiosa all’interno della famiglia. Se i bambini sperimentano un’atmosfera piena di devozione e uno sguardo fiducioso verso lo spirito creatore del mondo,sarà loro facilitato l’accesso all’esperienza del divino nella propria anima, dell’eterno nel proprio pensiero.

Il tema della morte e della caducità è parte integrante della crisi durante la pubertà. Un consolidamento della fiducia nella propria esistenza spirituale è il rimedio più efficace per il bisogno animico e contro la paura di questo periodo. Per i ragazzi più grandi è poi una liberazione scoprire la filosofia, o studiare le diverse religioni e percepire nel proprio ragionamento e nella propria comprensione dei diversi punti di vista ciò che può avere un valore permanente ed è in grado di offrire sostegno nella propria coscienza.

Sull’umorismo

Un’educazione senza umorismo non esiste. L’educazione infatti ha sempre qualcosa a che fare con l’imperfezione e l’umorismo è l’unica cosa che può sollevare una persona al di sopra di qualsiasi imperfezione. Si può indicare la serietà come padre dell’umorismo e allo stesso modo la madre è la gioia, l’allegria. Questi due fattori operano insieme per sviluppare l’umorismo. Chi si arrabbia o reagisce con cinismo di fronte alle imperfezioni, non ha ancora scoperto che proprio nell’imperfezione viene dato lo stimolo per lo sviluppo e il conseguimento della perfezione. Chi lo scopre diviene grato e gioioso.

Questo buon umore è proprio ciò di cui hanno bisogno i bambini e soprattutto i ragazzi che entrano nella pubertà: vogliono essere presi sul serio, ma desiderano anche provare la libertà di svilupparsi in una situazione in cui le loro imperfezioni vengano tollerate.

Le persone con il senso dell’umorismo sono dotate di un Io particolarmente forte. Poiché sono esse stesse molto attive e in continua crescita, hanno comprensione dei processi dello sviluppo e, di conseguenza, anche delle imperfezioni. Le persone prive del senso dell’umorismo sono invece più deboli. Hanno bisogno della serietà e dell’imperativo morale come sostegno per la propria coscienza di sé e del piacere della critica per affermarsi nei confronti del mondo e per sentirsi forti. Una personalità con un forte Io, invece, può mostrarsi comprensiva anche di fronte a punti di vista diversi dai propri o a problemi molto complessi. Sviluppare il senso dell’umorismo diviene dunque un modo per comprendere situazioni e persone difficili e anche per imparare a interessarsi a tutto ciò che è nuovo. In questo processo si rafforza la personalità.

Un aiuto per sviluppare l’umorismo è scoprire il lato comico della vita quotidiana. Ecco un esempio: arrivate a casa, siete di corsa, mettete in fretta gli avanzi del pranzo del giorno prima in una pentola e fate un bel minestrone di riso, verdura, burro, spezie e acqua. Mentre il minestrone cuoce, vi preparate per uscire di nuovo. Poi tornate rapidamente in cucina per togliere la pentola dai fornelli. Scivolate su un paio di gocce di minestra, cadute a terra mentre la mescolavate, la pentola vi cade di mano e tutto il pranzo si sparge uniformemente sul pavimento. Chi riesce in una tale situazione a non lasciar esplodere la rabbia, ma piuttosto a sorridere, vedendo con quale maestria la minestra sia sparsa per tutta la cucina, ha già ottenuto molto. In fin dei conti si tratta di un evento insolito nella vita quotidiana. Basta guardarlo dall’esterno. Se vedessimo questa scena in un film, il protagonista affannato e affamato, il riso uniformemente sparso sul pavimento, la pentola rovesciata a terra e il piatto vuoto, spontaneamente si riderebbe. Se si riesce a guardare questa scena anche nel suo lato comico, allora aumenta la forza per dominare la situazione anche in modo originale. O si esce di casa più o meno ridacchiando, con armi e bagagli per strada e ci si compra un pezzo di torta o un panino per calmare la fame, rimandando le pulizie alla sera, oppure si disdice l’appuntamento e ci si dedica in tutta calma a ripulire, rendendosi infine conto che quell’indiavolato programma per la giornata era assolutamente insensato e che si necessita di una pausa.

I bambini amano gli avvenimenti di questo tipo e possono trovarli interessanti. Se i bambini avvertono che l’adulto non perde la calma, ma fa materialmente quanto è necessario per risolvere e migliorare la situazione, e se possono aiutarlo, allora queste esperienze diventano avvenimenti estremamente significativi della vita quotidiana e aiutano a riconoscere il lato serio, comunque connesso a questa situazione.