Il bambino mentre dipinge
Di Caroline von Heydebrand*
Ogni bambino sano ha una grande gioia di fronte al mondo dei colori. E’ felice quando può vedere dei fiori rossi, gialli o azzurri, un prato verde, un suo vestitino colorato.
Ha il suo colore preferito col quale vuole vivere, che volentieri vorrebbe avere attorno a sé nella sua stanza o sulla parete.
Afferra ogni colore possibile per dar vita al suo stimolo creativo e si dà da fare su un pezzo di carta, sul pavimento, sul tavolo o sulla parete.
E’ però ancora più felice se trova un barattolino di colore liquido, dove può intingere profondamente un pennello e ricoprire col colore una vasta superficie.
Il bambino vive, in questo caso, una sensazione veramente corretta e salutare, poiché innanzi tutto il colore, quando si trova nell’acqua, è completamente nel suo elemento; le sue onde, il suo bagliore, il suo scintillio e il suo splendore più belli si manifestano nell’elemento acqueo.
E’ infatti nell’acqua che il colore perde la sua pesantezza, il suo essere terrestre, la sua durezza.
Per questo è positivo e salutare per il bambino quando gli si sciolgono i colori conservandoli in bottigliette e versandone un po’, per l’uso, in barattolini puliti dai quali egli può attingere.
Quando il bambino vuole dipingere, allo stesso modo, si può sciogliere il colore direttamente in una ciotolina.
Gli scolari comprendono da soli, in quale frangente sia da usare con abbondanza o parsimonia.
Ora, il bambino ha un pennello nelle mani, si accorge subito che il pennello non è una matita, che i suoi peli non sono appuntiti ma giacciono in una superficie piatta.
Il pennello ha anche un compito completamente diverso da quello della matita: serve infatti per dipingere e non per disegnare. Questo viene immerso nel colore e poi, con attenzione e amore, si stende una pennellata accanto all’altra.
Davanti al bimbo stanno tre barattolini di colore: il rosso, il blu e il giallo, accanto al vasetto pieno d’acqua nel quale egli sciacqua sempre di nuovo attentamente il pennello, soprattutto quando deve essere immerso in un nuovo colore.
Il bambino però vorrebbe avere volentieri anche il verde, vuole dipingere un prato verde, un albero verde.
Faremo allora versare in un barattolino dapprima del blu e poi del giallo: il bimbo rimane a bocca aperta, meravigliato: egli sperimenta che se la luce del sole giallo si mescola al blu della scura Terra, nasce il verde.
Fino al cambiamento dei denti, i bambini piccoli sono degli esseri che imitano; il dipinto diventa più bello quando mamma e papà siedono loro vicino e dipingono qualcosa di bello per conto loro.
Il bambino osserva e vuole fare altrettanto.
Egli però vuole anche familiarizzarsi con il mondo, fare con lui conoscenza in tutte le particolarità; per questo ne imita volentieri le immagini, dipinge anche disegnando un albero, una casa, il gatto, il cane, l’uomo.
Nel disegno dipinto egli acquisisce delle conoscenze di cui non dovrebbe essere privato.
Egli con ciò non imita soltanto l’esteriorità, ma vive ancora con la natura delle cose, afferra la loro “caratteristica mobile”.
L’uomo, come lo rappresenta, ha delle dita troppo lunghe e allargate; il bambino sperimenta in sé la caratteristica della mano, il tastare e l’afferrare.
Nella sua interiorità è ancora viva una sensazione degli organi che gli permette di dipingere, non la realtà circostante come potrebbe fare un adulto, bensì la vera caratteristica.
Se un bambino è rimasto molto indietro nel suo sviluppo intellettuale, se non è mai molto sveglio ma sempre sognante, quasi addormentato, lo si porta a svegliarsi sedendo accanto a lui e dipingendo assieme con partecipazione e vivacità quello che è stato sperimentato, visto, durante una passeggiata o quello che si fa in casa insieme a lui. Lì c’è la mamma che lava, là il papà che spacca la legna, là il bimbo stesso che ne porta i ciocchetti su di una catasta, il gatto che osserva: questa è una vita dai mille aspetti!
Se il bambino, però, è molto sviluppato intellettualmente, troppo sveglio per la sua età, allora gli fa bene godere dei colori per quello che sono.
Si dipinge un blu silenzioso e tranquillo, poi da un angolo viene un giallo radioso e allegro che lo vuole stuzzicare, ma noi metteremo lì in mezzo un bel rosso caldo che stimola già un poco il triste blu, è vero, ma placherà anche il giallo troppo arzillo.
Sia le superfici di colore, come i suoi movimenti, questo penetrarsi a vicenda e non irrigidirsi in forme troppo fisse, riporta il bimbo troppo saputello e intellettualizzato, nella giusta atmosfera un po’ sognante del bambino.
Così, noi possiamo aiutare il bimbo piccolo quando dipingiamo assieme a lui, ci facciamo osservare e imitare, oppure lasciamo che egli ceda il posto a se stesso e alla sua fantasia.
Non dobbiamo inoltre aver paura che il bambino si imbratti; egli vuole provare, sperimentare, vuole anche sfogarsi nel colore, e con esso saltare e giubilare. Per questo, egli ha bisogno di un grembiulino da poco, al quale non nuoce più niente e un posto in cui non dispiacciano le tracce della sua attività.
E noi dovremo avvicinarci al bambino mentre dipinge, possibilmente con il minimo dei ben pensati principi pedagogici, aspettare, osservare quel che egli stesso produce, aderire alle sue intenzioni, aiutarlo pieni di comprensione, correggerlo dolcemente, in definitiva riuscire a fare con lui, ciò che soddisfa entrambi.
Il bambino vuole spesso essere lasciato solo a lavorare per conto suo, è vero, a verificare i suoi piani, ma d’altro canto egli conviene, così legato con le persone amate del suo ambiente, che è completamente soddisfatto soltanto quando essi prendono parte con molta discrezione alla sua attività creativa e non lo lasciano del tutto solo, ma partecipano attivamente al suo lavoro.
Un bambino è felice quando ha creato qualcosa completamente da solo, ma la sua gioia è ancor più intima quando può dire: “Ho dipinto questa pittura assieme a papà!”.
Vogliamo avvicinare lo scolaro che dipinge a casa con amore e attenzione al suo materiale, senza essere pedanti.
Un buon foglio di carta da pittura bella bianca è qualcosa di prezioso e piacevole, non lo si può distruggere così semplicemente.
La cosa migliore è quando lo si inumidisce da ambo le parti e con un nastro adesivo lo si fissa su di una tavoletta in legno di pioppo. Quando è asciutto, glielo si presenta ben teso, proprio come a un vero pittore.
In questo modo il bambino impara abilità e pulizia e il foglio ben teso ricompensa riccamente lo sforzo.
Il pennello bello largo deve essere sempre lavato in acqua pulita: i colori vogliono rimanere puliti, ognuno per sé.
Le preparazioni richiedono un po’ di fatica e per valorizzare gli sforzi ora deve nascere qualcosa di bello.
Attraverso la pittura, il bambino deve entrare in un rapporto interiore con il colore, che egli ama, devono diventare come amici, e tutti hanno da dirgli qualcosa di completamente diverso.
Il Blu avrà nella sua anima voci completamente differenti dal Rosso, il Giallo dal Verde. Il Blu stesso parla in modo differente al Giallo, da come parla al Rosso.
Noi chiamiamo il Blu un “colore freddo”, ma non è solo freddo, è anche umile, lacrimoso, triste; quando è chiaro, la sua chiarezza è silenziosa e completamente diversa da quella radiosa e forte del Giallo.
Il Verde può darci una pace particolare, ma può anche essere noioso. Il Rosso può essere solenne, splendido, ma anche iroso e aggressivo; il violetto è pio, ma anche un po’ bigotto e perfino civettuolo.
Quante cose ci raccontano i colori, cosa fanno tutti insieme, quali infinite possibilità di compiti pittorici giacciono in loro!
C’è, per esempio, un giallo che vuole irradiare gioioso, ma un blu buio lo chiude, e tiene spietatamente prigioniera la sua forza irradiante; allora egli si sforza, diventa rosso focoso, si apre un varco in un punto del blu e spande fuori nella luce le sue onde rosso-arancio.
Se il bambino ha imparato ad amare in questa maniera i colori, nella loro propria natura, egli li ritrova nuovamente nella natura circostante e li osserva con occhi dai quali risplende un senso artistico.
Egli non disegna i contorni delle montagne con dure linee ma dipinge il blu più scuro del monte, al di sopra un po’ di cielo blu-verdastro, chiaro e tenero; nel punto in cui i due colori confinano, si formano da soli i limiti della montagna.
Egli osserva l’albero, come dalla parte del sole le foglie appaiono di un colore giallo-verde; dalla parte dell’ombra si smorzano in un vago bluastro.
Il gioco delle luci nei colori rivive nella sua anima, poiché, fin da piccolino, gli è familiare.
Gli infiniti miracoli del colore si dischiudono quindi dalla natura dell’anima.
L’uomo in crescita non diventerà mai schiavo imitatore della natura ma si svilupperà, se il suo destino così vorrà e diventerà un artista laborioso, oppure una persona che saprà godere intimamente e con comprensione.
Egli, di fronte al mondo, è sveglio, non cupo; rispettoso, non altezzoso.
Così il mondo del colore è una delle porte attraverso la quale possiamo guidare il bambino alla comprensione e all’essere attivo nel mondo.
Non vengono curati solamente gusto e senso artistico, ma anche una sveglia opinione e una devozione religiosa, una risolutezza creatrice morale.
Poiché ciò che ci viene regalato dalla vera arte, anche quando non la esercitiamo proprio come artisti, non è mai un lusso, ma una forza e un incremento alla nostra più profonda natura umana nel suo rapporto con il mondo spirituale circostante.
*Caroline von Heydebrand ha fatto parte della ristretta cerchia di insegnanti che realizzarono, sotto la guida di Rudolf Steiner, la prima “Libera scuola Waldorf” a Stoccarda nel 1919. Qui ha lavorato come maestra di classe fino al 1938 quando, in seguito alla chiusura della scuola da parte del regime nazista, dovette trasferirsi in Inghilterra dove poté proseguire per breve tempo la sua attività pedagogica. Costretta dalla salute cagionevole a rientrare in patria, morì pochi mesi dopo, nell’agosto 1938.