Educare alla libertà
Conferenza del prof. Gian Guido Scalfi 28 gennaio 1994
Una scuola che insegna secondo l’indirizzo antroposofico steineriano vuole educare alla libertà, intende educare alla libertà. Questa frase ci apre un orizzonte immenso. La parola libertà evoca oggi per l’uomo un’aspirazione assai viva, almeno negli ultimi cento anno; ma noi dobbiamo chiederci cosa stia dietro questa parola, in questa parola “libertà”.
Sappiamo che questa parola viene assunta in varie accezioni, le quali esprimono qualcosa di diverso l’una dall’altra all’anima dell’uomo. E’ una parola estremamente evocativa di sentimenti, quindi attrae l’uomo. Oggi parlare di libertà effettivamente avvicina l’uomo al tema di cui qui vogliamo parlare; ma allora ci dobbiamo chiedere a quale libertà alludiamo. Per capire come educare alla libertà un uomo dobbiamo chiarire l’immagine delle libertà che abbiamo, e, quindi, l’immagine di questo uomo libero. E’ l’immagine che appunto ha presente e deve tenere presente un maestro di una scuola steineriana.
A quale essere dell’uomo ci si vuole riferire, cioè a che cosa si volge l’educazione per fare un uomo libero? A tutta prima potremmo dire “libertà di coscienza”, ma anche qui avremmo aggiunto alla parola un attributo, ma forse non ci saremmo compresi nel riferirci alla coscienza, non essendo univoco il significato di questo termine. Occorre andare oltre. Dall’immagine della coscienza noi siamo condotti da una lato ad una esperienza di consapevolezza (l’uomo cosciente è consapevole, ha un’esperienza consapevole) mentre, dall’altro, siamo portati ad un’esperienza interiore dell’uomo. Questi sono i due aspetti che noi dobbiamo tenere presenti, se vogliamo aprire un discorso sulla libertà.
Esperienza interiore, cioè l’uomo che sa rivolgersi alla propria interiorità. Ciò può sembrare, nelle parole, estremamente semplice; ma non si vuole indicare un uomo che sa o crede di valutarsi psicologicamente nelle proprie reazioni o segue delle teorie per giudicarle, bensì proprio all’uomo che sa guardare in se stesso e sa afferrare una vita che vive nella propria interiorità. Dunque non ci rivolgiamo a quella libertà che oggi è tanto cara agli uomini, che gli uomini inseguono senza mai giungere ad essa, cioè la libertà politica. E’ questa un’altra realtà: è possibilità di agire in autonomia in una sfera della vita sociale; può essere più o meno ampia a seconda degli ordinamenti che abbiamo di fronte; ma questa libertà politica per essere realizzata in modo socialmente valido presuppone un uomo che sappia vivere in libertà nell’ambito della propria vita interiore, che abbia questa libertà interiore. Non opera libertà politica , se la società non conosca uomini liberi interiormente. Noi continuiamo sul piano della vita sociale a combattere per questa libertà politica senza capire che bisogna partire da un’altro punto: non dall’istituzione di una nuova magari assurda libertà o dalla comprensione di qualche libertà politica, ma dalla esperienza nostra interiore. Lasciamo dunque da un canto questa libertà politica e cerchiamo di cogliere il senso della libertà interiore. Quello che io dico sono solo degli spunti. Per avere una immagine dell’uomo che vogliamo educare alla libertà noi (il genitore, il maestro) dobbiamo saper percepire la nostra interiorità.
Sulla base della cultura che ci ha istruito, che ci deriva dall’800, noi riteniamo di poter percepire il mondo esterno a noi: di poter percepire attraverso i sensi e non ci rendiamo conto (o almeno, non tutti si rendono conto) che esiste un’altra sfera in cui l’uomo “percepisce”, nella vita interiore al di fuori dell’esperienza sensibile. Questo è un dato elementare, ma è un elemento su cui poco si riflette.
Il mio pensiero, i pensieri che voi avete formulato in questo momento, la nostra attività pensante, noi non la percepiamo tramite i sensi, con nessuno dei sensi tradizionali. Ciò nonostante la percepiamo. Abbiamo la certezza del nostro pensare. Così possiamo dire di qualche altro aspetto della nostra vita. Anche di noi stessi abbiamo un’esperienza percettiva innanzitutto tramite i sensi; ma se ci limitiamo a percepire tramite i sensi noi viviamo strettamente nella nostra corporeità. Non è questo l’ideale di un uomo da educare secondo l’indirizzo steineriano, di un uomo, cioè, che non vive nella propria corporeità e non va oltre la propria corporeità. Percepisce se stesso nella pelle e nelle ossa. Noi stiamo parlando di quell’altro aspetto dell’uomo che sa cogliere se stesso in un altro spazio e non è percepibile attraverso i sensi. L’attività di pensiero, dicevamo, non è percepibile attraverso i sensi.
E i nostri sentimenti? I nostri sentimenti possono manifestarsi esteriormente: il rossore delle guance è un’espressione di un sentimento della vita interiore, ma ciò nonostante, se anche c’è una manifestazione corporea, noi viviamo i sentimenti interiormente. La vita del sentimento noi la possiamo cogliere in questa nostra realtà interiore.
Più difficile cogliere la volontà. La volontà è qualcosa che a tutta prima all’uomo sfugge. L’uomo deduce la volontà dalla sue azioni. L’uomo agisce in un certo modo e dice: “io ho la volontà!”, ma è una deduzione. La volontà sfugge perché non si riesce a darle un contenuto rappresentativo, cioè un contenuto che viene dal pensiero. Allora non è più la volontà. Questo tema della volontà è uno dei più importanti per un maestro di una scuola ad indirizzo steineriano. Deve soffermare il proprio pensiero sulla volontà; cogliere le sue manifestazioni. La “volontà” è qualcosa che sfugge al mondo dei sensi ed è ciò che i filosofi chiamano “l’io dell’uomo”: il primo nucleo della spiritualità. Nella volontà noi troviamo la quintessenza terrena, qui in terra, della nostra spiritualità. Vive nella vita interiore.
Questi tre momenti: il pensare, il sentire, il volere, che noi frazioniamo pericolosamente – pericolosamente perché l’uomo è da cogliere nella sua completezza – questi tre momenti sono quelli che manifestano la vita nell’anima. Questa parola “anima” fa paura al mondo moderno. L’uomo oggi non sa coglierla nelle percezioni, perché è sospinto da un pensiero scientifico, per altro importantissimo, a cercare nella percezione sensibile la realtà delle cose. Eppure, quello è l’aspetto più importante nella realtà umana, non quest’ultimo.
Se io mi domando: “Dove sperimento me stesso?” la ma risposta non può che essere: “L’esperienza di me stesso è nella mia interiorità”.
Non è nel mio corpo!
Dobbiamo dunque afferrare questa esperienza interiore di noi stessi per capire come si educa alla libertà. Ciò che l’educatore desidera aiutare a svilupparsi deve essere stato sperimentato da lui stesso.
L’arte del maestro è l’arte più difficile che possa esistere. Perché non può comunicare quello che è diventato suo sapere, cioè le comunicazioni che ha letto su magnifici libri, ma solo quello che ha sperimentato nella sua vita, di cui può dire: “Io ne sono consapevole”. Solo a tarda età, se ha la fortuna di vivere in tale età, può dire: “Finalmente ho colto questa esperienza”; e comprende questa verità che ora ho ricordato: il maestro comunica esperienze, non sapere.
La vita dell’anima, cioè questa vita del pensiero, del sentimento e della volontà è appena sfiorata dalla civiltà contemporanea e, di riflesso, dai metodi di educazione oggi più correnti. Se si accosta al pensiero, al sentire ed al volere, l’uomo lo fa oggi in modo unilaterale e frazionato. Che cosa intendo dicendo che oggi ci si accosta in modo unilaterale e frazionato a questa esperienza? Il pensiero è ridotto all’intelligenza. L’intelligenza è un aspetto del pensare, è una facoltà che noi esercitiamo con il pensare, ma non è il pensare. Oggi una persona dice “sei uno sciocco” a colui che ha usato la propria intelligenza in una azione, compiendo questa azione in un impulso etico diverso da quello suggerito da chi gli ha detto “sei uno sciocco”. Sul giornale di ieri leggevo questo singolare episodio. “Una persona trova 15 milioni. Li consegna al Comune. Da quel giorno è perseguitato dalle telefonate che gli dicono: “cretino, sciocco, ma perché non te li sei tenuti?” Ecco, l’intelligenza è quella che conta, essa sola, fredda, è importante; ma questo è un concepire l’uomo in modo del tutto unilaterale. L’intelligenza non è pensare, se non è accompagnata nel comportamento da qualche altra realtà, da qualche altra cosa.
Questo giudizio così corrente oggi, così frequente, così indecoroso, così indegno dell’uomo; questo modo di giudicare gli uomini da dove giunge? Ci giunge dalla politica, dalla politica come si è ridotta oggi nel mondo, non solo nel nostro paese, nel mondo in genere. Un mondo che oggi si direbbe machiavellico, per quanto quest’uomo non sia stato così come oggi il suo nome viene portato nel valutare queste cose, ma viene da una politica che vuole essere sociale, che vuole essere democratica, come si usa dire, mentre considera gli uomini come fossero tutti uguali.
L’intelligenza nella politica è una facoltà del pensare che viene utilizzata per certi fini, distaccandola completamente da ogni realtà dell’uomo; dell’uomo si vede solo questa capacità intellettiva di ragionamento. C’è in questo, se voi guardate gli uomini che sono così, una freddezza incredibile. Non c’è un uomo davanti a voi, c’è qualcosa di diverso, un pezzo di uomo. Noi viviamo in mezzo a pezzetti di uomini che si scompongono continuamente. L’uomo va, invece, concepito in un modo completo. Nella nostra azione, quando noi compiamo delle azioni, noi siamo impegnati innanzitutto con la nostra volontà. Volontà, sentimenti, facoltà intellettiva concorrono nell’uomo, questo è l’uomo intero, è l’uomo completo che troviamo poi descritto in magnifici momenti della grande letteratura dei tempi più vicini ed anche più lontani.
L’azione è una manifestazione esterna dalla quale poi deduciamo questa realtà umana che conduce all’azione stessa.
Dicevo che un maestro deve portare una grandissima attenzione alla volontà per poter educare in modo conforme alla libertà. La volontà non viene percepita con i sensi. Nella pedagogia steineriana, che ha alla sua base un’antropologia dell’uomo, appare con molta chiarezza quanto sia apodittico, quanto sia affermazione non provata, neanche sul piano della scienza, ridurre la volontà ad una specie di energia dell’uomo. Questa è una tipica concezione materialistica, che non sa andare oltre a quello che è percepibile ai sensi, volgendosi alla realtà non percepibile, almeno a tutta prima.
La volontà, invece, dicevamo, è un’espressione spirituale dell’uomo. Questa verità costituisce un profondo rovesciamento nella conoscenza dell’uomo; quando il maestro insegna ha di fronte un essere indivisibile del quale uno degli elementi costitutivi, che sta alla base del suo io, della sua individualità, è la volontà. Ci si può introdurre a comprendere l’uomo se si capisce la volontà. Quindi questo concetto di libertà – che stiamo ricercando per poi vedere come è meglio educare – senza una “esperienza” della libertà (non solo concetto, dunque) non consente di educare.
Questa esperienza della libertà si arricchisce di un altro elemento: cioè della volontà, espressione spirituale dell’uomo. Noi non possiamo concepire un uomo libero se non lo concepiamo spiritualmente, se non abbiamo davanti un essere che può essere creativo. Libertà “morale”: dicendo interiore, dico tutta la sfera morale. Dicendo moralità, dico non la regola del catechismo, ma qualcosa di molto più vasto. Vive nella sfera animica (e di questo ha esperienza il maestro in una scuola steineriana) la libertà morale, essa è infatti la condizione di chi può ritrovare nella propria interiorità, in se stesso, il senso delle proprie azioni. Se anche vogliamo usare la parola “regola”, diremo: ritrovare la regola delle proprie azioni da se stesso, in autonomia, con la propria forza interiore. Non trarre la regola delle proprie azioni da un catalogo di regole, da qualsiasi parte venga; regole etiche, se siamo nel campo dell’etica: non trarle dall’autorità altrui che ti dice “devi agire così”, non trarle da un comando. Se si agisce per comando non si è liberi per definizione: si è privi di libertà.
Questo è l’uomo cui aspiriamo ed a cui il mondo moderno sta aspirando. Non è che vi aspiri solo la scuola steineriana: il mondo moderno tende a quest’uomo, faticosamente, in mezzo ai contrasti più profondi; l’evoluzione dell’umanità oggi è verso l’uomo libero. Un uomo che non coglie il senso delle proprie azioni (che poi è il senso della propria vita) in ciò che gli viene da fuori, ma lo ritrova nella libera autonomia interiore.
Nella sfera della moralità, però, l’uomo percorre varie tappe: Se consideriamo la sfera della moralità interiore, possiamo constatare come questa “moralità” si esprima anche in altri atteggiamenti pure nella vita interiore, oltre che nella libertà. Si sviluppa in varie tappe, su vari gradini; non tutti abbiamo la medesima moralità. Tutti andiamo avanti nella vita, se riusciamo; certi vanno anche indietro, ma anch’essi potranno recuperare e progrediranno in fasi successive. Di questo, anche, dobbiamo essere coscienti e ci domandiamo: quali sono le tappe di questa evoluzione morale dell’uomo?
Conoscendole possiamo dire: possiamo educare in un certo modo. Nella sfera della moralità l’uomo può percepire questi gradini. Il primo gradino della moralità di un uomo è la tolleranza verso gli altri. Osserviamo quanto poca sia la tolleranza tra gli uomini, specie in questi giorni; si direbbe che c’è una lotta contro ogni altra persona che ti sta dinnanzi. Invece il tollerare l’altrui è il primo gradino su cui un uomo si erge ad individualità superiore rispetto agli altri. Ma si può andare avanti: si può agire nella vita non per se stessi, ma agire anche – più o meno, ma anche del tutto – per gli altri.
Questa è una domanda che ognuno potrebbe farsi alla sera e sarebbe anche un esercizio per autoeducarsi. Quanto io ho compiuto per gli altri nella mia giornata? Ma non ci si ferma qui, i gradini della moralità conducono oltre: l’uomo può agire inserendosi nell’evoluzione della Terra, intendendo per Terra anche l’umanità stessa, la vita della natura, la vita dell’uomo sulla terra. Non è solo consapevole di essere per gli altri uomini (il problema sociale non è altro che il problema di comprendere l’altro, mentre la considerazione economica non ha niente a che fare con il problmea sociale): egli può sentire di essere parte della evoluzione che trasforma il mondo vegetale intorno a lui, che vivono gli uomini intorno a lui. Sente questa evoluzione ed inserisce le proprie azioni in essa. Questa visione già può dare un quadro di cosa si debba insegnare e di come si debba insegnare. Badate che con questo non voglio dire che ci si debba volgere, come fanno alcuni, al mondo animale o al mondo vegetale ed amare solo gli animali, solo le piante e dire: “Sono molto più morali gli animali che gli uomini”. Questa è una battuta che si sente con estrema frequenza; chi la dice è un uomo che non capisce niente dell’umanità, non capisce niente degli uomini, è fuori completamente dal mondo. Inserirsi nell’evoluzione della Terra è ben altra cosa, progredire verso certe mete è ben altra cosa. Si può anche andare oltre: si può anche sentirsi inseriti nell’evoluzione universale. Allora veramente qui si è molto in alto, ben pochi uomini hanno colto questo momento della moralità ed hanno saputo inserirsi nell’evoluzione del Cosmo, non solo della Terra.
Grossa parte dell’insegnamento di R. Steiner fu dedicato all’interpretazione dei vangeli, alla cristologia: quando parliamo dell’evento del Golgota parliamo di un evento che si inserisce nell’evoluzione universale. Solo così si può capire, non attraverso le regolette catalogate che qualsiasi Chiesa ti porta incontro. Il punto più alto della moralità è dunque questo: quando l’uomo può consciamente dire: “Io sento che agisco perché sono un momento dell’evoluzione universale”. Egli ha allora ritrovato il senso della vita, lo possiede nel sentirsi dentro ad un grandioso movimento che ha avuto un inizio e che avrà una fine. R. Steiner studiò e descrisse in grandiose immagini questa evoluzione, ma essa è fuori dal tema cui ci dedichaimo questa sera.
Noi a questo punto avremmo compiuto (beninteso basterebbe qualche momento della vita a realizzare questa percezione interiore per elevarci) avremmo compiuto quell’unione tra sensibile e sovrasensibile che l’umanità va cercando da molto tempo senza saperla realizzare. Noi viviamo in un mondo che concepisce due aspetti separati dell’uomo: il mondo sensibile ed il mondo sovrasensibile e tra essi non sa indicare un vero legame. Dopo la morte si andrebbe all’inferno o nel paradiso, secondo le azioni compiute ma è questo forse l’unico aspetto del sovrasensibile. E questo sovrasensibile, questo qualcosa che noi percepiamo in noi stessi (abbiamo visto che percepiamo noi stessi interiormente), questo sovrasensibile che connessione ha col mondo esteriore che ci circonda, con la nostra corporeità?
Il soprasensibile si connette al fegato, al cuore, all’occhio. Il soprasensibile si connette al mondo descritto nelle fiabe, al mondo degli animali. Chi sentiva fortemente questo aspetto fu una grande personalità: S. Francesco. S. Francesco sentì del tutto di essere immerso in questa unione del sensibile col soprasensibile. Noi possiamo dunque unire, diciamo un termine poetico, la Terra con il Cielo. Se in un momento della nostra vita arrivassimo a percepire tutto questo, ma nell’ambito di questa altissima moralità, noi tuttavia non ci troveremmo ancora al gradino della libertà morale. La libertà morale va ancora oltre; anche quando ci si orienta a vivere la vita morale come momento di vita universale, ci si è fatto un quadro, una cornice nella quale si opera. Nella libertà morale non si ha questa cornice, non si è mossi da alcuna regola, non si ha regola. Si ritrova in se stessi il senso della propria azione. E’ difficile esprimere questa verità, ma questa è l’immagine dell’uomo che si vuole educare in una scuola steineriana, un uomo che possa ricreare in se stesso il fondamento e le ragioni delle proprie azioni: il ritrovarle in se stesso, non ritrovarle qui, in questi libri. Qui c’è una bellissima collezione di opere sul pensiero dell’umanità dall’inizio ad oggi. Guardate quanti libri si possono leggere. Eppure non è quello che è stato comunicato che ci può orientare, ma quello che ritroviamo in noi.
Questa forza che ci può orientare (e che presenta anche altri aspetti) è quella che ci dà l’immagine dell’uomo. A tutta prima l’uomo può immaginare di compiere solo alcune azioni moralmente libere. Si legge in opere letterarie anche recenti di persone che subiscono prove terribili, dove è descritta vita, l’esperienza dell’uomo che coglie e vive, in un attimo della vita, la propria libertà morale. Comprende che la libertà è ciò che conta, che in essa riposa la sua umanità. Il resto non conta. Per esempio, nell’opera di Solgenitzin “L’ultimo cerchio” muore il protagonista – Nertzin – quando ha abbandonato tutto, ha capito anche che è terminato il rapporto con la sua amica e l’hanno inviato, lasciandogli gli stivali e la giubba, togliendogli anche il temperino, in un lager dove deve morire: in quel momento comprende di essere un uomo libero. Non ha più nessun legame con le passioni terrene, con le cose, ma sente se stesso, la realtà della sua individualità. Leggevo di recente con gli amici una poesia di Derek Walcott (un poeta giamaicano che ha ricevuto due anni fa il premio Nobel) in cui descrive in un canto bellissimo l’incontro con se stesso, in quello che i filosofi chiamerebbero l”Io superiore”. In un dato momento, in una data giornata, tu odi bussare alla tua porta e ti viene incontro colui che hai atteso, che ti ha amato e che ti conosce più di ogni altro; nessuno ti ha conosciuto così, ed oggi è festa perché tu, abbandonate le vicende caduche della tua vita, gli vai incontro ed imbandisci la tua tavola e fai festa con lui. Riassumo quanto Walcott canta poeticamente nella poesia intitolata “Amore contro amore”. E’ veramente ritrovare se stessi, a propria vita interiore e percepire lo spazio della propria vita morale. Noi vorremo poter educare a questa esperienza; questo è l’uomo che l’umanità chiede. L’umanità sta procedendo: ciò di cui stiamo parlando deve essere tradotto in una pedagogia.
L’azione libera, quindi, è un’azione non mossa dall’adesione ad una regola accettata o dall’autorità di chicchessia.
Per educare l’anima a questa facoltà l’educatore deve, usando la sua fantasia (e io qui dò solo alcuni spunti), innanzitutto curare che il bambino (parlo del bambino della prima scuola ed anche dei genitori stessi nella vita familiare), sinchè non abbia in se stesso delle forze di difesa, eviti quelle manifestazioni della vita sociale che tendono a conformare la sua coscienza in un certo modo non libero. Tutto ciò che conforma la coscienza è morto per i bambini. La televisione uccide il bambino, bevendola il bambino non sarà mai un uomo libero: sarà un uomo che si conforma ai versi ed alle idiozie che lo strumento propaga, insensibile al buono che può far conoscere. Inoltre non sarà creativo, mentre libertà morale vuol dire capacità creativa interiore. Non sarà più creativo. Perché? Perché coglie quello di cui tutti gli uomini hanno una sete ardente: le immagini; ma invece di ritrovarle da sé nella sua anima gliene diamo in pasto: le peggiori, poi, che possiamo trovare. Deve inoltre curare che l’insegnamento mai abbia un carattere dogmatico, onde evitare di rifarsi ad una regola esteriore, per scegliere un comportamento tra più comportamenti: quando ci si trova come uomo moderno, come tutti gli uomini moderni contemporanei, di fronte al dubbio sulla azione da compiere, noi siamo sempre di fronte al dubbio. Dobbiamo ritrovarla dentro noi stessi, ma siamo stati educati a ritrovare fuori la regola, il dogma.
Questo si deve curare nell’educazione. Dobbiamo evitare ogni forma precostituita entro la quale il bambino possa muoversi. Non crediamo che l’educazione all’uomo libero sia solo in queste indicazioni che ora ho ricordato. Mettete un bambino di fronte a quei disegni, che oggi vengono venduti in libretti, in cui v’è un bel contorno segnato: una testa, un corpo, una casa. Gli si dice “adesso riempila con dei colori”. Questo assolutamente è costrittivo, non si abitua il bambino alla fantasia, non si abitua il bambino alla creatività; lo si abitua alla intellettualità a quel modo unilaterale di essere dell’uomo d’oggi. Lo si abitua alla concettualità: riceve tutto precostituito, è già sclerotico dall’infanzia, moralmente lo uccidiamo. Oppure condurre il bambino, non con il castigo, con l’ordine, con il comando, ma condurlo compiendo delle azioni che possono aiutare a indirizzarlo in senso più libero nel modo di essere,
Il bambino ha compiuto un’azione che non doveva compiere e lo si sgrida, dicendo: “Non devi fare così”. Questo non entra nell’animo del bambino, lo indurisce. Invece bisogna saperlo condurre con altre azioni a comportarsi in un certo modo. Avere sempre presente l’esigenza di porre nell’anima del bambino un terreno su cui possa fiorire la fantasia morale.
Questo l’atteggiamento fondamentale per educare alla libertà. Questa espressione non consueta, “fantasia morale”, è quella, però, che ci fa capire che cos’è la libertà interiore, la libertà di cui stiamo parlando. Essa coglie con fantasia, quindi in libertà, il senso, le ragioni della propria azione. Ritrovare il senso del proprio comportamento attraverso fantasia. Quando perciò un maestro di una scuola steineriana parla di “educare alla libertà” ha dinnanzi l’immagine della libertà nella sfera interiore (o morale), nella quale l’uomo si percepisce come una entità spirituale, ed orienta il proprio metodo educativo a suscitare l’attitudine a questa fantasia morale, ad un “tatto morale”.
Possiamo constatare, osservando gli uomini, che vi sono uomini che non hanno “tatto morale”, e uomini invece che, o per aver ricevuto una educazione migliore o per una certa genialità interiore che caratterizza la loro individualità, hanno questo tatto morale e quindi sanno toccare i tasti giusti nei rapporti con gli altri uomini. E’ a questa libertà che l’umanità sta faticosamente volgendosi. Sarebbe confondere questa evoluzione con l’educazione dogmatica tradizionale pensare che educare alla libertà comporti poi alla fine creare un catalogo di regole di comportamento. Nel momento in cui tu crei questi cataloghi di regole hai finito con la libertà.
Noi siamo ossessionati dai cataloghi di regole che ci ammoniscono e da cui ci sentiamo costretti, come nell’anelito alla libertà interiore. Il catalogo delle regole, i tomi che nel XV, XVI secolo si predisponevano sottilizzando sulle regole morali, appartengono al passato. Il futuro fiorisce nella libertà interiore.
In una bellissima pagina Pico della Mirandola parla del mondo animale, vegetale, minerale che si circonda e, ad esso contrapponendo l’uomo, scrive: “L’uomo creato da Dio a sua somiglianza, il quale ha qualcosa di più di questo mondo che gli sta intorno”.
Parlo di “questo” uomo. Quindi dobbiamo saper differenziare l’uomo dalla natura, ma ad un tempo farlo vivere dentro la realtà spirituale. Questo è uno dei compiti che devono essere svolti per arrivare ad educare alla libertà interiore che, in questa connotazione in cui stiamo parlando, è libertà di giudizio: un giudizio che sia scevro da formule fatte. R. Steiner che è il fondatore della pedagogia steineriana (oltre che di tutta una concezione della vita e di altri impulsi nel campo della medicina e dell’agricoltura) studiò a fondo all’epoca della prima guerra mondiale (poco prima ed ancora poco dopo) la vita sociale e disse: “Guardate che è un pericolo estremo lasciar sovrapporre, intersecarsi, la vita politico-giuridica con la vita economica. Questo porta guasti spaventosi. Bisogna tenere questi due mondi separati”.
Quale ne sia la tecnica è cosa da sviluppare e considerare. Oggi noi constatiamo questo problema: Il problema che noi osserviamo tutti i giorni sul giornale, il problema delle tangenti, non è altro che la confusione fra la vita politica e quella economica. R. Steiner questo lo diceva nel ’18. Ma come ha fatto a dirlo? Valutando e partendo dalla realtà spirituale dell’uomo, dall’immagine spirituale dell’uomo.Allora ha potuto costruire un’immagine che oggi è un criterio di interpretazione della vita sociale, che si è orientata nel senso opposto che tutti possiamo toccare con mano: la vita della cultura spirituale (religione, arte, scienza, tutto quello che è creativo nell’uomo), la vita del diritto e della politica e la vita economica sono tre ambiti della vita sociale che bisogna tenere distinti tra loro. Basta pensare quanto oggi noi possiamo impedire la vita artistica attraverso quello che si faceva in Russia fino a poco tempo fa: “Se non ti iscrivi al sindacato di fede comunista tu non sei un artista”, quindi muori, sei accantonato. Il che significa che la vita giuridico-politica influisce e costringe l’espressione tipica della vita della cultura che è la libertà, la libertà nel mondo sociale. R. Steiner, cogliendo questi nessi con la libertà spirituale dell’uomo, vedeva la possibilità di tripartizione nella vita sociale: una possibile separazione, non nel senso che non si possa partecipare sia alla vita politica che alla vita artistica, ma in questi diversi momenti essere mossi da impulsi diversi. Sarai mosso da criteri di uguaglianza nella vita del diritto; sarai mosso da un criterio di libertà nella vita della cultura.
Osservate il Rinascimento: il Rinascimento è libertà nella vita della cultura ed allora si verificò un’immensa fioritura di cultura. Noi abbiamo distrutto la libertà nella vita della cultura e non abbiamo più che un inaridirsi di certe forme; ci vuole la forza della libertà morale di certi individui per opporsi a queste forme. Questo modo più aperto, più libero di valutare la realtà è espressione di quell’uomo da cui siamo partiti dicendo: “L’uomo ha un’esperienza interiore di se stesso”. Dunque libertà morale di fronte alla conoscenza della natura e di ciò che è percepibile con i sensi e come fantasia etica rispetto ad ogni singola azione che noi compiamo. Sono due aspetti di questo tema che ci siamo proposti e su cui io riesco a dare solo qualche indicazione che può e deve essere molto più approfondita. Possiamo dire: libertà morale significa creatività. Chi conosce le scuole steineriane da tanti anni, anch’io le conosco da molti anni, sa che i bambini crescono molto aperti ad una certa creatività. Creatività nel giudizio sul mondo esterno. Sarai uno studioso di scienza naturale: che tu sia libero! Non ti sia uniformato a qualche regola che costringa il tuo pensiero. Creatività nel giudizio etico, impedita dalle regole da ripetere ma, ogni volta che si sia di fronte al dubbio: “Come agirò?”, riproponendosi la domanda: “Dove trovo il senso della mia azione?”.
Chi credesse che questo significhi voler portare l’individuo all’arbitrio, non avrebbe capito niente di quello che ho cercato di dire. Non ha niente a che fare con l’arbitrio individuale, l’arbitrio sempre si contrappone a regole. Colui che è nell’arbitrio rompe le regole, ma è sempre nell’ambito di una concezione normativa dell’essere. Nel modo che ho cercato di illustrare l’uomo diventa invece assai più consapevole del sendo delle proprie azioni, dal giudicare liberamente e quindi è proprio l’opposto di colui che agisce arbitrariamente, il quale vive in genere nell’irrazionale. L’arbitrio non ha niente a che fare con la libertà morale.
Un uomo cresciuto in una scuola che cerchi di non sclerotizzarlo fin da bambino, di non far sì che sia riempita la sua anima di ciò che lo vuol conformare in un certo modo, ha una maggior facilità rispetto a chi porti il retaggio di anni di una educazione costrittiva.
L’uomo può esercitare se stesso a questa libertà ed ogni maestro di scuola steineriana che vuole insegnare nella libertà deve esercitare se stesso a questa libertà. Altrimenti sarà ben poco consapevole, non sarà del tutto capace di insegnare in modo da aiutare il fiorire di una libertà morale nell’anima del bambino.
Innanzi tutto l’uomo deve saper scegliere, nella calma interiore, il senso delle proprie azioni, la ragione delle proprie azioni, quando è di fronte al dubbio: per esempio evitando un agire mosso da passioni. Questo elemento della calma interiore è un elemento che ciascuno può sviluppare in se stesso esercitandosi. Dopo aver colto delle situazioni su cui riflettere per compiere una certa azione, anche e soprattutto deve cercare in queste situazioni gli aspetti positivi e non aspetti negativi. Altrimenti non riuscirà a compiere azioni libere perché sarà immerso in un pensiero intellettuale, sarà nella critica. Noi oggi educhiamo alla critica fin troppo presto. Questo è distruttivo per il bambino. Non va educato a criticare, va educato ad essere libero, cioè a poter formare in se stesso, poi, i giudizi sulle proprie azioni. L’uomo per poter sviluppare se stesso deve essere educato ad esercitare la volontà, senza cadere per un verso nella tendenza ad imporsi sugli altri (questo è un eccesso di volontà), oppure, per altro verso, alla tendenza deleteria di sfuggire ai problemi che la vita porta incontro. Per esempio, un libro che porta alla fuga della scelta volitiva è Robinson Crusoe. Libro deleterio per i bambini, perché non insegna loro a vivere nella vita sociale, ma insegna a fuggire dalla vita sociale.
Dobbiamo sviluppare la nostra vita interiore anche nel sentimento. Dobbiamo vincere questa vita interiore anche nel sentimento. Dobbiamo vincere in questa vita interiore le forme di brama, di desiderio, di possesso e in questo possiamo autoeducarci. In questo modo già compiamo dei primi passi nell’immagine della libertà, in modo da poter sviluppare un giudizio sereno. Noi ci possiamo educare al giudicare sereno in questo modo. L’uomo libero, in una parola, viene educato a saper governare la propria vita interiore. Invece sempre tendiamo a dire agli altri come devono comportarsi. No! Questo è invece l’insegnamento steineriano: educare a saper ritrovare le forze per educare se stessi. Questa è la libertà!. Il maestro educatore nel senso del comando, nel senso della costrizione, non deve più esistere. Deve esistere solo colui che crea l’uomo su cui fiorisce questo metodo del governo della propria interiorità. In un bellissimo verso Goethe, in una poesia giovanile, mostra di avere delle conoscenze molto particolari: ad un certo momento un frate esclama: “Beato colui che sa governare se stesso!” Che sa ricreare in se stesso questi atteggiamenti di cui abbiamo parlato. Per fare uomini liberi l’educatore deve apprendere ad insegnare quest’arte, e per insegnare quest’arte del governare se stesso, deve saper governare se stesso. Colui che non sapendo governare se stesso vuole insegnare è un traditore di quello che fa, è una persona senza sincerità, neanche con se stesso. Infatti per veramente dire “Ecco una persona che ha compiuto un’azione libera” quella persona deve essere dotata di grande coraggio morale, perché le azioni libere si pagano fino in fondo nella vita, con disillusioni costanti, con tradimenti ripetuti. In secondo luogo si deve avere sviluppato un profondo amore per la verità. Questi due aspetti (coraggio e verità) sono premesse di un’azione libera. Non c’è uomo che vita nella propria vita interiore liberamente che non abbia il coraggio del proprio essere uomo e l’amore per la verità.
Coraggio, cioè arte dell’equilibrio fra la temerarietà e la pavidità. Il coraggio è equilibrio. Non è coraggioso il temerario che si butta alla morte in un atto di guerra, come mi raccontavano quando andavo alle scuole elementari: azioni come queste nulla hanno a che fare con il coraggio. Sono espressione incosciente nell’uomo. L’amore della verità: c’è un punto di equilibrio tra la falsità e la supponenza o l’intempestività nel dire il vero. Colui che ama dimostrare che dice il vero, non è nel vero. Dire il vero significa dirlo con tatto morale. Il tatto morale suggerisce che in certi momenti si debba star zitti. Forse l’uomo che raggiunge queste vette che ci siamo posti come meta di una scuola (è raro che oggi siano raggiunte) difficilmente può dire di se stesso: “Io sono sempre nella verità”. L’uomo di oggi difficilmente può dire questo di se stesso, pochissimi lo possono dire, perché ci sarà sempre qualche momento in cui prevale la passionalità. Però è via via un cammino costante di elaborazione interiore, di attenzione interiore, per compiere qualche passo che ci permetta di essere anche educatori dei giovani.
Questo uomo, che può solo compiere i primi passi verso la libertà di cui ho parlato, è l’uomo che può compiere nel tempo tra la nascita e la morte azioni che egli poi porterà dopo la morte. Cosa portiamo dopo la morte con noi stessi? Solo le nostre azioni. Non portiamo la nostra dottrina, il nostro sapere. Tutto questo muore con noi. Invece la nostra supponenza umana ci fa credere che lì riposi la più alta nostra manifestazione: ma il sapere non è la parte più elevata del nostro essere. Lo è invece l’azione che noi compiamo sviluppando in modo giusto la nostra volontà. Dopo la morte portiamo con noi le nostre azioni! Il nuovo! E’ qualcosa che va verso il futuro, il resto va verso il passato. Possiamo dire: l’uomo è giudicato alla fine della vita dalle sue azioni, più libere sono più egli ha contribuito all’evoluzione dell’umanità in mezzo alla quale vive, di cui è un piccolo momento. Noi non portiamo come nostra ricchezza questo nostro mondo di sapere. La vita delle rappresentazioni, che stanno alla base del conoscere, è una vita morta. Osservate l’uomo che è tutta rappresentazione, tutta intelligenza. E’ un uomo freddo, di una freddezza estrema. Guardate l’uomo che ha compiuto una piccola, buona, ragionevole azione,che ha agito bene (forse altri non capiscono che ha agito bene). Ebbene, quest’uomo espande calore. Questo portiamo dopo la morte: la realtà delle nostre azioni. Perciò dobbiamo educare uomini che possano agire in questo modo e quindi arricchire il cosmo spirituale che sta intorno a noi. Non impoverirlo, come facciamo nella supponenza del nostro sapere, con la freddezza del nostro sapere.
Se noi realizzassimo questo senso, che cioè noi stessi “siamo” nelle nostre azioni, “siamo” l’espressione delle nostre azioni, che questo è quello che conta nella vita; e che sono azioni che implicano preparazione attenta, governo di se stessi, forza e coraggio morale a fianco della libertà morale, che implicano l’amore della verità, ci accorgeremmo che la libertà morale non è altro che l’altra faccia dell’amore. Amore e libertà morale sono come le due parti di una noce: non possono vivere scisse l’una dall’altra. Perchè nel momento in cui un uomo sappia arrivare ad una azione veramente libera, insensibile ad ogni comando, affrancata da ogni regola, ma ritrovando in se stesso il senso della sua azione, l’uomo ha amato la sua azione, inserendosi nell’evoluzione dell’umanità. In quel momento possiamo capire l’unione tra la libertà e l’amore.
L’umanità di oggi non elabora che questi due aspetti della libertà e dell’amore. Noi crediamo forse, osservando il mondo intorno a noi, che queste siano illusioni, fandonie. Vediamo sangue, guerre, tutto l’opposto di quello che ci appare essere ciò che coltiva l’amore. Ma questo gradino dell’evoluzione si conquista proprio attraverso quelle faticose esperienze, quelle tragiche esperienze. Quelle tragiche esperienze hanno dunque un aspetto positivo; ecco un esercizio alla positività che conduce a dire: “V’è in ciò una necessità, anche se io devo lottare contro questa realtà. Questo corrisponde al mio modo di essere, alla mia epoca”. Dunque constatiamo un aspetto essenziale della evoluzione del nostro tempo, l’unione della libertà e dell’amore; e, come educatori, cercheremo di dare su questa base un senso alla vita. Perché nel momento in cui l’uomo cogliesse che il senso della vita è nella evoluzione della libertà e dell’amore, non sarebbe come tanti giovani d’oggi sono: privi del senso della vita distruggono se stessi con la droga, o con il suicidio o con altri mezzi.
Educando in questo modo combattiamo queste patologie della vita sociale nelle quali si cade perché si educa alla freddezza, alla pura intellettualità, alla critica, cioè a qualcosa che porta esattamente all’opposto dell’amore e della comprensione dell’altro. L’educazione concettuale, intellettualistica conduce alla morte interiore. Un’educazione alla libertà conduce alla vita interiore, a quella che abbiamo chiamato la creatività interiore. Da un lato osserviamo la freddezza dell’uomo, dall’altro il calore. Il maestro deve cogliere questi germi del calore nel bambino ed allora sa che è sulla via per portarlo verso una libertà morale, affrancato dalla violenza dei comandi, delle regole, della volontà altrui, dalla conformazione della sua coscienza tramite i cosiddetti strumenti di comunicazione di massa.