Dislessia: le cause, la diagnosi, la prevenzione

di Daniela Dirceo

“Non ci troviamo di fronte a un problema, ma ad un bambino che non si sente adeguato alle richieste della società”. Così Laura Tedde, neuropsichiatria infantile antroposofa, decide di introdurre il suo intervento al seminario e subito mostra i disegni di alcuni bambini affetti da dislessia. Il pubblico viene quindi accompagnato in un viaggio attraverso i segni e i colori utilizzati da bambini che “non abitano il proprio corpo”, bambini molto stressati, ansiosi, con una bassissima autostima e che hanno spesso problemi importanti di comportamento.

Ecco l’autoritratto di un bambino di sette anni, si disegna con braccia molto lunghe e mani grandissime: in classe è un vero terremoto, distrugge tutto, disturba i compagni…a casa ha incendiato l’albero di Natale e ha fatto grandi buchi in giardino distruggendo le piante.

Quest’altro invece ha sette anni e mezzo. Dall’autoritratto, poco adeguato alla sua età, ci appare alto e grassottello: di fronte alla lettura e alla scrittura manifesta un’opposizione passiva, mette la testa sul banco e fa finta di dormire. Due casi molto diversi, due reazioni antitetiche per un denominatore comune.

La dislessia in Italia oggi è in aumento. Si tratta di un disturbo specifico dell’apprendimento che può verificarsi in ragazzi normali, cioè in assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali, e che si trovano in adeguate condizioni socioculturali.

Questa patologia investe la capacità di lettura e può essere più o meno grave a seconda del tipo di compromissione: si va dalla semplice lentezza nel leggere fino alla totale incapacità di decodificare i simboli scritti in suoni. Spesso però le difficoltà di lettura si associano anche a difficoltà nella scrittura (disgrafia) e nel calcolo (discalculia), anche se non necessariamente con la stessa intensità. Va da sé che questi bambini hanno quasi sempre un disagio psicologico conseguente al vissuto delle proprie difficoltà di apprendimento, che nei casi più gravi può spingere bambini cognitivamente adeguati ad abbandonare i percorsi di studio scelti o comunque inibire le loro capacità di apprendimento e di conoscenza in modo significativo.

“Per arrivare alla diagnosi” afferma la dottoressa Tedde “sono necessari una serie di esami specialistici, volti a comprovare l’assenza di deficit neurologici, della vista e dell’udito. Inoltre i bambini vengono sottoposti a test standardizzati per escludere il ritardo mentale o altre patologie e per valutare se la velocità, la correttezza e la comprensione della lettura, siano inferiori agli standard prestabiliti per una popolazione “normale”. Tali difficoltà, inoltre, devono interferire in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività quotidiane che richiedono capacità di lettura”. Ovviamente i test, oltre ad avere un valore puramente diagnostico, sono utili anche per programmare, in accordo con i genitori e la scuola, il progetto specifico per ogni bambino.

“Le difficoltà del bambino possono essere notate quando inizia a leggere e a scrivere” prosegue la dottoressa Tedde, “può invertire le lettere (ad esempio da con ad, per con pre), confondere lettere simili o omofone (d-b; p-q;b-p;t-d e così via), omettere lettere, troncare le parole, stentare a riconoscere gruppi sillabici complessi come gn,gh, gl, sc, faticare a mantenere il rigo di lettura o a procedere regolarmente. Può apprende con difficoltà le tabelline, le serie numeriche e le informazioni in sequenza, come mesi, giorni, lettere dell’alfabeto; si può confondere nei rapporti spaziali e temporali (ieri e domani, destra e sinistra). Può avere problemi di attenzione e concentrazione. A volte, nella storia di bambini dislessici, si ritrova in età prescolare, un ritardo o un disturbo specifico del linguaggio: il bambino quindi può avere risolto le difficoltà nel linguaggio parlato, ma si trova poi a doverle riaffrontare, ad un livello più alto, quando inizia a leggere e a scrivere”.

Sulle cause della dislessia le ricerche più recenti confermano l’ipotesi di un’origine genetica e biologica che darebbe la predisposizione al disturbo, ma l’ambiente socio-culturale gioca un ruolo fondamentale nell’ampliare o contenere il disturbo.

“Sono stati accertati il coinvolgimento del cromosoma 15, preposto alla codifica fonologica e allo spelling, e del cromosoma 6” afferma la dottoressa Tedde “ma siccome probabilmente concorrono più geni, lo studio su base genetica della patologia è complesso. Il deficit di codifica fonologica sembra inoltre avere una base neuroanatomica: i soggetti interessati presentano una situazione di mancata o invertita differenziazione tra i due emisferi a livello del planum temporale”.

Fin qui gli aspetti genetici e neurologici, ma, sottolinea ancora la dottoressa Tedde “è particolarmente importante rimarcare l’influenza dei fattori ambientali, in quanto è su questi che noi possiamo intervenire. Esistono infatti evidenze sui danni provocati al sistema nervoso nei primi sette anni di vita del bambino, in conseguenza di abitudini e contesti che inducono immaturità e distorsione nel normale sviluppo delle funzioni senso percettive”.

Secondo uno studio dell’American Academy of Pediatrics, citato dalla dottoressa, emerge che una massiccia fruizione di televisione possa portare al cosiddetto Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD), sindrome da deficit di attenzione e iperattività.

L’indagine, svolta lo scorso anno, ha interessato duemila bambini americani di età compresa tra uno e tre anni. La ricerca ha dimostrato per la prima volta che l’organizzazione neuronale del cervello di un bambino si sviluppa in maniera diversa se rimane davanti allo schermo televisivo per qualche ora al giorno. In particolare, il senso di realtà del bambino verrebbe alterato dalla velocità delle immagini. Il difetto sarebbe determinato dall’errato allenamento dei neuroni.

Un bambino che gioca con le dita, ad esempio, ha il sistema neuronale generato proprio dall’esercizio delle dita, che sarà diverso da quello generato in un bambino che siede ipnotizzato davati alla TV. La ricerca evidenzia che per ogni ora passata davanti allo schermo i bambini in questione hanno quasi il 10% in più di possibilità di avere problemi di attenzione, che possono poi essere diagnosticati all’età di sette anni. Se a fare uso della TV per tre ore al giorno è un bimbo ai primi passi, le probabilità di sviluppare la ADHD aumentano del 30%.

“Il bambino nei primi sette anni di vita è un organo di senso” prosegue la dottoressa Tedde “e assorbe come una spugna tutto quello che noi gli proponiamo. Impara per imitazione dall’ambiente che gli offriamo a camminare, parlare e pensare. Impara a percepirsi come essere differenziato dall’ambiente con confini precisi tra interno ed esterno, orientato nello spazio e parzialmente nel tempo. I sensi basali o inferiori, che secondo la classificazione steineriana sono il tatto, il senso del benessere, il senso del movimento e dell’equilibrio, sono quelli maggiormente coinvolti in tali processi e nei bambini sono i più legati alle emozioni. È chiaro quindi come i fattori ambientali siano essenziali affinché il bambino riceva stimolazioni sensoriali sane per poter sviluppare una buona capacità di imitare l’ambiente. La pedagogia steineriana, che opera dal 1920, offre un’utile integrazione dal punto di vista operativo con ciò che risulta dal punto di vista scientifico tradizionale, in quanto permette interventi preventivi mirati.

Nella scuola materna il metodo Steiner opera in maniera preventiva su tutti i bambini. Molto importante a questo proposito la valutazione che viene fatta della maturità scolare del bambino, per impedirgli di venire stimolato su attività per le quali non è ancora pronto.

Nelle classi elementari, poi, l’approccio alla lettura e scrittura della scuola Waldorf ha uguale valenza preventiva. I dislessici, che a questo punto compaiono verso la terza o quarta elementare, sarebbero stati più gravi senza questo percorso, e in più hanno un maggiore livello di autostima e hanno ricevuto un’educazione della volontà che dovrebbe renderli più capaci di superare le frustrazioni e le difficoltà connesse con questa condizione”. Tutto ciò è particolarmente importante e utile per il bambino dislessico ma anche per tutti i bambini, oggi indeboliti dallo stress cui viene sottoposto il nostro sistema sensopercettivo nella società odierna.

Per saperne di più

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Via Testoni, 1
40123 Bologna
Telefono e Help Line 051-270578
www.dislessia.it
[email protected]

Bibliografia

Giacomo Stella – La dislessia – Il Mulino, Bologna, 2004

Giacomo Stella – La dislessia. Aspetti clinici, psicologici e riabilitativi – Franco Angeli, Milano, 1996