Dalla collaborazione degli adulti, il futuro dei bambini

Relatori: Fabio Fantuzzi, Claudia Gasparini e Bruno Sandkuller maggio 2006

 

Prende la parola per primo Bruno Sandkuller, che parte, per affrontare il tema, dalla sua pluridecennale esperienza d’alunno, genitore, insegnante ed amministratore di scuole Waldorf. “Tante volte, quando si entra in un ruolo, si diventa, agli occhi degli altri, una persona speciale, “timbrata” dal ruolo – esordisce – Compito principale è allora quello di collaborare per arrivare al sentimento del “noi”. Come genitore, c’è stata un’opposizione di fatto con gli insegnanti, perché erano la parte opposta. Facendo l’insegnante, si vede un’altra prospettiva ancora, da un altro lato la stessa situazione, gli stessi processi. In questa situazione ci troviamo tutti ed occorre sempre collaborare.”.

Anche i bambini fanno esperienza. “ad esempio, quando abbiamo cantato prima, hanno fatto da pubblico e hanno applaudito – racconta Bruno Sandkuller – Questa è l’immagine del nostro lavoro: i bambini sono l’obbiettivo da una parte e dall’altra sono il pubblico che ci osserva nel nostro lavoro, nel nostro fare e sanno benissimo e sentono, anche dolorosamente, questa tensione che arriva tra genitori ed insegnanti e scuola. Il nostro sforzo è collaborare, risolvere i problemi non in uno spirito d’ostilità ed opposizione, ma di collaborazione”. Collaborare anche per superare la confusione che si crea quando si pensa che tripartizione e triarticolazione siano la stessa cosa. “Si tratta di un’aberrazione. – continua Bruno Sandkuller – In realtà in tutte le parti ci sono elementi economici, emozionali e spirituali”. I bimbi allora come obbiettivo, che devono essere educati non per il mondo di oggi, ma per un cambiamento possibile del mondo di oggi. “A volte ho l’impressione che le cose vanno sempre degradando – conclude Bruno Sandkuller – eppure mi accorgo che stanno apparendo nuove forze nella gioventù, soprattutto una consapevolezza, una sensibilità sociale crescente. Noi adulti abbiamo allora l’enorme responsabilità di non disperdere forze in litigi, opposizioni e confusione di ruoli, ma di collaborare per il futuro di queste forze giovanili”.

Prende poi la parola Fabio Fantuzzi, che è stato uno dei primi genitori della scuola di Bologna, di cui n’è diventato poi amministratore per anni e che ora ricopre la carica di segretario consigliere all’interno della Federazione. “Il titolo che abbiamo dato al convegno, pensato per il mondo Waldorf, è inteso come un auspicio: si spera che se gli adulti collaborano, il futuro dei bambini sia migliore – esordisce Fabio fantuzzi – Rileggendolo, mi è venuto in evidenza che questa è una realtà, cioè che la collaborazione degli adulti determina sempre il futuro dei bambini, a prescindere dalla consapevolezza o meno. Da ogni collaborazione si genera il futuro, così com’è stato, ad esempio, per quello degli uomini che hanno collaborato per sganciare la bomba su Hiroshima. Le collaborazioni sono diverse per qualità secondo la diversità degli adulti che le creano, ma lasciano sempre un’impronta nei bambini e, più in generale, nell’umanità. Nel movimento waldorf stiamo anticipando le tappe di un processo mondiale che vede le difficoltà di collaborazione tra adulti. Occorre collaborare il meglio possibile tra persone libere, individualmente e con un obiettivo, riconosciuto sano, giusto, buono”. Fabio fantuzzi ha poi ripercorso la sua esperienza nel movimento Waldorf, dal 1989, quando si è avvicinato sena conoscere la pedagogia nei suoi principi, per divenirne poi, con un’esperienza molto graduale ( incontri con persone, letture, esperienza diretta sul proprio figlio, conferenze e seminari) a divenirne invece uno dei sostenitori e diffusori a livello nazionale, testimoniando così che chiunque si avvicini a questo mondo ha l’opportunità di intraprendere un cammino d’autoeducazione che lo può portare a cambiare nel profondo. “In questo processo la parte di coinvolgimento è sempre stata accompagnata dall’accoglimento dei motivi profondi che stanno alla base dell’esistenza di una scuola steineriana – spiega Fabio Fantuzzi – per mezzo di letture, seminari e conferenze, che lavoravano nel profondo e mi permettevano di ‘tollerare’ e convivere con la scarsa corrispondenza tra quegli alti ideali e la realtà. Qui ho trovato qualcosa che ha risposto ad una mia domanda in senso più generale. Non bisogna mai perdere coraggio nel cercare di migliorare la collaborazione tra adulti, anche se abbiamo quotidianamente delle esperienze che ci porterebbero a non essere tanto confidenti nel fatto che questi eventi producano qualcosa. Visto in prospettiva futura, questa è l’unica cosa ragionevole da fare: non perdersi mai d’animo nel cercare forme di collaborazione sempre migliori e questo implica una capacità di accettare il cambiamento”.

Diversa è invece la testimonianza di Claudia Gasparini, anch’essa consigliere del Cda della Federazione e fondatrice prima del gruppo antroposofico “Matilde di Canossa” e poi della scuola di Reggio Emilia. L’incontro con l’antroposofia è stata un’esperienza fondamentale che definisce “la mia casa fuori di casa”. Dalla collaborazione con altre individualità che partecipavano al gruppo e dall’approfondimento conoscitivo dell’antroposofia è partito l’impulso per dare vita ad una scuola Waldorf in una città che vanta già un’eccellenza in ambito pedagogico. Compito non facile, che si è realizzato anche grazie alla collaborazione con le istituzioni. “Ricordo i tanti pomeriggi in cui, insieme ad altre quattro signore, discutevamo – racconta Claudia Gasparini – per dar vita ad un “qualcosa” che rispondesse ad una richiesta del territorio su cui nasceva. Io dico sempre che abbiamo dapprima lavorato per suscitare una domanda a cui dare poi la risposta. Ciò che ci muoveva era l’ideale, assolutamente reale, di fondare una scuola Waldorf a Reggio Emilia. Nasceva dalla culla di un ambiente antroposofico e volevamo verificare se c’era la possibilità di incarnarlo nella città. L’antroposofia ci ha aiutato moltissimo per vedere quest’idea nel modo spirituale e per lavorare affinché la sua realizzazione potesse rispondere ai bisogni della città. Nessuno di noi voleva creare una scuola ad immagine del proprio lato soggettivo, non c’interessava realizzare una scuola come noi pensavamo che dovesse essere, ma volevamo che diventasse conforme all’archetipo che ritenevamo di avere individuato e doveva essere il risultato di un lavoro comune. E’ stato poi importante riconoscere come dal mondo, come conseguenza di questo lavoro, venissero dei segni molto chiari. Questa iniziativa è sempre stata supportata e condivisa dal gruppo antroposofico, che ha nutrito pensieri che hanno permesso di intravedere un percorso. Forse è stata la collaborazione meno visibile, ma la più intensa, che ha permesso di produrre quella sostanza spirituale che dovrebbe essere a fondamento delle nostre realtà scolastiche. La scuola, come organismo vivente, si nutre proprio di questa sostanza spirituale. La possibilità di lavorare con altri mi ha permesso di svolgere quello che io mi ero riconosciuta come compito, ossia di lavorare per la pedagogia steineriana e per la fondazione di una Scuola Waldorf, cosa che da sola non avrei mai realizzato. Sono per questo molto grata alla persone con cui ho collaborato. La scuola Waldorf è una palestra d’esercizi spirituali che ci rafforzano per incontrare il mondo”.

E’ seguito poi un dibattito, in cui sono state rivolte queste domande:

Come fare per sbloccare i genitori se c’è questa resistenza, come fare per creare una collaborazione senza attriti?

Fabio Fantuzzi:

Rimuovere gli ostacoli, portare a consapevolezza, fare una traslazione d’attenzione da parte di chi porta questi principi.

Bruno Sandkuller:

Uno di questi ostacoli è proprio il contrasto tra le teorie e la prassi, i comportamenti. La reazione normale sarebbe di chiedere a queste persone di cambiare il proprio comportamento, invece non bisogna cambiare l’atteggiamento degli altri, ma il proprio, imparando dal comportamento degli altri. Un altro ostacolo è quello di chiedere agli altri qualcosa che noi stessi non abbiamo ancora raggiunto.

Claudia Gasparini:

Entra in gioco il mistero dell’iniziativa di chi si rende conto del problema, perché non è così scontato che ci se ne accorga. È una sua responsabilità trovare il modo per risanare. Non siamo mai abbastanza adeguati per farlo, ma vedere e non fare è peggio.

Nel tempo, da Steiner in poi, sono cambiati i problemi di relazione col corpo docenti o sono rimasti sempre gli stessi?

Bruno Sandkuller:

Al tempo di Steiner c’era la questione sociale, ossia il contrasto tra la borghesia ed il proletariato. Questa questione non è stata risolta, è stata trasformata, visto che ormai esiste una borghesia, culturalmente ed economicamente. Non vi è più un’acuta coscienza però del contrasto, tutti sono più o meno allo stesso livello culturale e la questione è diventata più una questione di valori etici, quasi persi nell’educazione.

L’educazione oggi si orienta verso una meta economica, non in una direzione etica, non si sviluppano affatto le facoltà morali ed artistiche dei bambini. In questo senso non è più una scuola che aiuta un certo ceto ad arrivare ad un livello più alto, ma una scuola che deve permettere a tutti di acquistare questo elemento morale. Al tempo di Steiner il termine “cultura” aveva un valore concreto, che ora non ha più. Si sono quasi persi i criteri dell’arte! C’è quindi quest’elemento morale da recuperare, una nuova immagine dell’uomo e ciò lo devono fare gli insegnanti, i genitori ed i bambini assieme. Alcune questioni invece sono rimaste le stesse, soprattutto il compito di collaborare è diventato più attuale.

Come entrare nel mondo? Come fare pubblicità alla scuola?

Fabio Fantuzzi:

Propongo il paragone tra il tema “come portare al mondo la scuola steineriana”, a cominciare dalla singola scuola a dimensioni più ampie, col tema “come portare al mondo se stessi”. Esperienza comune è che in diverse fasi evolutive ci si sente dentro qualcosa, ma nel contempo, si sente di non aver tutto quello che servirebbe per rendere questo qualcosa riconoscibile dal mondo, ci si sente inadeguati. Noi siamo molto in questa situazione. A cominciare dalle nostre scuole, che ad un occhio critico mostrano parecchi punti deboli, alcuni clamorosamente deboli (insegnanti senza titoli o senza la formazione Waldorf, locali non a norma) ed è sano esserne consapevoli, per attivarsi nei confronti di questa situazione. Come Federazione stiamo facendo diverse cose col mondo ed il riscontro che ho io è che siamo in un contesto culturale rispetto al tema scolastico estremamente involuto se lo confrontiamo con la situazione di altri Paesi europei. L’idea è ancora che l’educazione sia una faccenda dello Stato, poi c’è chi vuole un’educazione religiosa e chi un’educazione d’elite, in cui si paga, ma i ragazzi fanno meno fatica e vengono promossi lo stesso. E’ la concezione comune, anche del politico. Noi, di fatto, in Italia costituiamo un’eccezione di dimensioni molto piccole, mentre in altri Paesi, specialmente nord europei, ci sono più esperienze di scuole libere e private. Quello che stiamo facendo è di farci conoscere di persona per demolire quella situazione di pregiudizio, sia col mondo politico ed economico ed invitiamo le singole realtà a fare lo stesso con le autorità locali: farsi conoscere non per chiedere qualcosa, ma per offrire un contributo culturale al territorio in cui si opera. Il tema “sviluppo e tutela” è di grandissima attualità.

E’ un compito della scuola Waldorf fecondare con un impulso, però c’è anche la tutela, la protezione della direzione spirituale della scuola. Ciò che ci può sempre aiutare a risolvere problemi così grandi è sempre l’immagine dell’uomo, che porta gli archetipi di tutti gli organismi viventi. Bisogna allora traslare quest’immagine e chiedersi: “Quanto posso io espormi nel mondo? Quanto posso io respirare nel mondo?”. Non posso respirare più di quanto non respiri dentro, non posso espormi più di quanto io senta la forza dentro e questo è un giudizio di grandissima responsabilità. Rischiamo di esporci più di quanto riusciamo a gestire. Più luce riusciamo a coltivare dentro, più possiamo entrare nel mondo. Andare verso il mondo comporta una grande responsabilità ed una doppia dose di umiltà.

Occorre essere visibili, trasparenti, senza dimenticare che nella trasparenza si vedono i difetti, le imperfezioni, le incongruità, e le forze dell’ostacolo amano lavorare con le nostre insufficienze. Non ci si può esporre fuori più di quanto ci si sia sviluppati dentro.

In questa situazione italiana, se nasce un impulso, anche se piccolo, l’importante è che aneli a mantenere e sviluppare un collegamento con la sorgente originaria, per non rischiare di cadere nelle polarità di alternativismo o tradizione. Questo può consentirci di ‘traghettare’ in questo III millennio l’impulso che la scuola Waldorf ha il compito di dare all’umanità futura.; l’immagine dell’uomo aderente alla realtà fisica, animica e spirituale. Occorre curare ancora molto la qualità, fortificare gli impulsi più che espanderli per non perdere l’autenticità della direzione spirituale. Forse è una fase di inspirazione necessaria ad una successiva espirazione verso il mondo.