Qual è il significato dei compiti a casa e come possono i genitori accompagnare i bambini in questo lavoro

Compito dato dai genitori dei bambini della 5a classe all’insegnante Andrea Scicchitani

 

Premetto che considero i compiti come un dono per i bambini, per aiutarli nella loro crescita e sviluppo. Per questo motivo, in rare occasioni, per qualche marachella commessa durante il lavoro nella nostra aula, ho negato il compito ad alcuni bambini. La punizione non è ricevere compiti, ma non averli.

Generalmente nelle prime classi non c’è una reale necessità di assegnare i compiti a casa. Il lavoro scolastico viene svolto completamente a scuola. Fino ai nove anni il bambino è intimamente connesso alla comunità famigliare e a quella della classe; non è ancora in grado di realizzare una riproduzione individuale dei contenuti vissuti nel mondo delle immagini cognitive che queste realtà gli propongono.

Nella scuola può tuttavia presentarsi l’opportunità di assegnare piccoli compiti, per incrementare la relazione con la nuova realtà, là dove il rapporto del bambino con l’istituzione scolastica appare ancora sentito come un proseguimento del primo settennio, e perdurano difficoltà a inserirsi in un contesto di attività strutturate. In questo caso bisogna ovviare a disarmonie, sempre più diffuse, che dovrebbero indurre gli adulti a porsi qualche domanda sui problemi che si presentano: capacità di ascolto non adeguata all’età, non riconoscimento dell’autorevolezza dell’adulto, volontà ancora incapace di darsi un orientamento, aritmia nel parlare-ascoltare, giocare-lavorare, muoversi-star quieti…

In classe ci possono essere bambini che per costituzione fisico-animica sono “troppo” sognanti, e che hanno la necessità di tempi più lunghi di altri per attivarsi nella percezione di sé e del mondo circostante. Nella polarità opposta possono essere presenti bambini estremamente svegli, abituati a esaurire tutto velocemente. Anche in questi casi gli educatori possono mettere in atto, sotto supervisione del medico curante, strategie di supporto. Per esempio una adeguata alimentazione può diventare fondamentale in alcuni frangenti: troppo cibo addormenta, il salato risveglia, il dolce rende sognanti, troppi zuccheri stimolano l’ iperattività, …

Dopo il nono anno, quando il bambino percepisce nel sentimento il proprio essere individuale, è possibile dare, e assume una certa importanza, il compito a casa.

L’acquisizione di un’autonomia è un lungo percorso; non avviene solo grazie a una crescita fisica, ma anche e soprattutto per uno sviluppo delle facoltà animiche che necessitano di grandi cure. Quanti sono oggi i trentenni ancora incapaci di staccarsi dalla mamma e dalla famiglia, che perpetuano una sorta di pubertà senza fine?

I compiti che vengono assegnati vertono solitamente su contenuti elaborati in classe e sono proposti in modo che tutti siano in grado di svolgerli. Il bambino non dovrebbe vivere a casa alcuna sorta di frustrazione circa eventuali incapacità a svolgere i compiti. Il compito è tuttavia uno strumento in mano agli educatori per verificare come possono continuare ad aiutare quei bambini che ancora non hanno raggiunto gli obiettivi proposti.

Nel lavoro corale della classe, i bambini sono sostenuti dal gruppo e possono non apparire difficoltà di comprensione e di esecuzione. Nel lavoro individuale, invece, ognuno è di fronte a se stesso. Verifica che cosa ha assimilato e che cosa non è ancora in grado di eseguire, risvegliandosi alla necessità di modificare il suo modo di essere durante il lavoro in classe.

Come è necessario un ritmo di lavoro a scuola, alternando attività di concentrazione e di espansione, stabilendo un corretto respiro tra le diverse attività, anche a casa occorre che vi sia la stessa cura. I bambini non sono in grado di organizzare il proprio tempo; questo è un compito dei genitori o, in loro assenza, delle persone che ne hanno la responsabilità.

Dopo una giornata di scuola il bambino ha bisogno di “lasciarsi andare” nel suo ambiente domestico, tra l’intimità delle sue cose. Un esempio di organizzazione del pomeriggio potrebbe essere: una bella merenda, un po’ di gioco, i compiti, una pausa di completa libertà nei suoi sogni, riflessioni e pensieri, una bella lettura, poi l’esercizio dello strumento musicale…e la giornata è pressoché conclusa.

Bisogna prestare attenzione a non bombardare i bambini di attività extrascolastiche: hanno bisogno di tempi conformi al loro essere; i loro tempi non devono diventare quelli di un manager d’industria.

Il ritmo continua ad assumere grande importanza per l’acquisizione di una sana abitudine ad affrontare lo svolgimento dei compiti in modo sistematico ed autonomo.

Quando i compiti diventeranno non solo un’elaborazione di quanto appreso a scuola, ma solleciteranno anche progetti su iniziative personali e ricerche, se non si sarà già stabilizzata l’abitudine al lavoro autonomo, gli scogli potrebbero diventare insormontabili.

L’individualità del bambino, grazie anche allo svolgimento di quelle consegne, potrà nel tempo maturare un atteggiamento responsabile nei confronti dei doveri che la vita gli porterà incontro.

Appare evidente quanto sia importante il compito dei genitori per aiutare i bambini a organizzare i propri compiti.

I bambini non possono correre il rischio di trovare mille scuse e sotterfugi per non portare a buon termine le richieste.

Vi è inoltre un altro aspetto, tutt’altro che marginale, nel momento in cui il bambino chiede alla mamma o al papà un aiuto diretto, poiché dice di non essere in grado di svolgere la consegna proposta dall’insegnante. Subito dentro di noi dovrebbe sorgere la domanda: “Perché non è in grado di assolvere la consegna? Che cosa nasconde questa sua incapacità? E’ apparente o reale?”

Se la richiesta è occasionale può anche rientrare in una circostanziata situazione, ma se diventa abituale bisogna porvi rimedio.

In ogni caso quando il bambino chiede aiuto bisogna sostenerlo; si può sollecitare a rivedere quanto già fatto a scuola, a ricercare esercizi simili, a confrontarsi con qualche compagno (so che diversi spesso fanno già lunghe chiacchierate telefoniche). Se nonostante ciò il bambino continua nella sua richiesta di aiuto, il genitore può intervenire per stimolarlo a risolvere lo scoglio dandogli lo strumento opportuno, ma sarà il bambino stesso poi a procedere nel lavoro. I genitori non devono assolutamente sostituirsi né alla scuola, né al bambino.

Il bambino non deve correre il rischio di pensare di permettersi qualunque cosa durante le lezioni (distrazioni, chiacchiere con i compagni, giochi, non partecipazione, ecc.) tanto risolverà i problemi in altra sede, con altre persone. Se questo avvenisse, avremmo compiuto gravi errori. L’autorevolezza dell’insegnante verrebbe vanificata e il rapporto del bambino con l’istituzione scolastica sarebbe menomato.

In una occasione venne chiesto a Rudolf Steiner di definire il corretto atteggiamento dell’uomo nei confronti della vita in tre fasi; la risposta fu: innanzitutto fare il proprio dovere, successivamente fare il proprio dovere e infine fare il proprio dovere.