Le “pagelle”: un’intesa che si rinnova

di Giovanna Chiantelli

Nel tempo pasquale i maestri cominciano a pensare alle “pagelle”, un lavoro enorme che li impegnerà a lungo fino alla fine dell’anno. Lavoro enorme, non soltanto in termini di tempo, ma in termini di responsabilità animica. Le pagelle nelle scuole steineriane sono un evento particolare ed estremamente coinvolgente: non c’è niente di istituzionalizzato, se non il fatto di compilarle e consegnarle, con una certa solennità, a genitori e bambini riuniti in classe, alla fine di ogni anno scolastico.

Nessuna traccia precostituita, nessuna metodologia che “debba” essere seguita. Allora?

E’ un momento “magico”, un momento di incontro profondo con l’anima del bambino, del ragazzo, un momento in cui, passato e futuro dell’allievo s’incontrano nell’interiorità del maestro e ne risulta una visione di questo essere in divenire che, per un breve attimo (attimo o eternità?), illuminante, te lo fa percepire in tutta la sua bellezza, in tutta la sua potenzialità, come se, sollevato dall’involucro fisico, il suo essere eterno peculiare, unico, irripetibile, ti si svelasse in una condizione atemporale.

Ed è il momento in cui il patto, l’intesa, si rinnovano: lo slancio che, talvolta, nel corso dell’anno, può essersi leggermente appannato dalle vicende, non sempre facili della quotidianità, riprende tutta la sua luce, il suo calore, il suo splendore. Da chi comincio? Seguo l’ordine del registro? Quell’insulso e assurdo ordine alfabetico, che nessuna relazione ha con l’umanità degli scolari? Devo cominciare, ma non riesco a farlo a comando, allora rimando e intanto porto nel cuore il problema.

Brandelli di discorsi ora con un bimbo, ora con l’altro, si affacciano alla mia anima, cominciano a prendere forma, spesso informati a fatti che avvengono nel corso delle lezioni. Ecco, all’improvviso, magari nel silenzio delle ore notturne, si delinea un volto: ce l’ ho davanti chiaro, limpido, pieno di forze di simpatia anche per gli atteggiamenti che talvolta mi irritano.

E’ lui! Allora prendo la matita e in un tempo velocissimo, un tempo inquantificabile, ma sempre troppo rapido, scrivo, scrivo ciò che egli mi detta, ciò che leggo nei suoi occhi, nel suo modo di stare seduto, di giocherellare, di ridere, di essere birichino, di piangere, di essere imbronciato. Ecco, ho finito, rimango sola: l’incontro è stato così bello, così intenso, si è consumato troppo in fretta e mi lascia sempre un senso di nostalgia, di perdita. E così, uno a uno si affacciano alla mia anima e, poco per volta, con lo scorrere dei giorni la magia si rinnova. Prima di copiare in “bella” ci sono dei “ritorni”, finché mi decido per la stesura definitiva, perché, in ogni modo, il lavoro ha una scadenza. Faticoso? Sì, ma bello, tanto bello.

E’ come fare un bilancio del cammino fatto insieme, è come un intravedere percorsi futuri!

Per i piccoli, di solito fino alla quarta-quinta classe, i maestri lavorano su due fronti: quello rivolto al bambino e quello per i genitori. Al bambino si da una poesia scritta apposta per lui o cercata con cura, poesia che egli potrà declamare ogni settimana nel giorno corrispondente a quello della sua nascita.

Queste piccole poesie sono brevi schizzi, legati per lo più al tema fondamentale in cui si informa la didattica dell’anno trascorso, nel quale il bambino si identifica per certe unilateralità del carattere o, viceversa, percepisce un’immagine del tutto contrapposta, che ha cioè qualità polari al suo modo di essere. Per esempio, un bambino timido, poco coraggioso di seconda classe può ricevere come immagine “omeopatica” quella di un leprottino che, dopo un’avventura per lui terrificante, viene rassicurato da mamma- lepre, oppure viceversa quella di un nobile, fiero coraggiosissimo leone o di un cavaliere che compie gesta eroiche.

Dice mamma-leprottino,

va nel campo, qui vicino

a cercar tenera erbetta,

dormi, buono e qui m’aspetta.

Dopo un poco il leprottino

mette fuori il suo nasino:

s’è annoiato ad aspettare

vuole correre e giocare!

Ma ad un tratto , orrore, orrore!

ecco: bum! il cacciatore

ha sparato a lui vicino,

come batte il cuoricino!

Quatto, quatto, dentro il prato

sta ben fermo, senza fiato,

che quel mostro rumoroso

è davvero spaventoso!

Ecco mamma, finalmente,

che lo guida prontamente

nella tana, giù, al calduccio;

è la fine di ogni cruccio!

 

0ppure si può donare al bambino un disegno particolare, una citazione di parole importanti di qualche grossa personalità che il fanciullo conosce e che ha destato la sua ammirazione o che è tratta da uno dei testi di portata universale, come la Bibbia, i Vangeli, il Corano, i Veda, i grandi poemi epici, ecc.

Questa una parte del lavoro, quella che ci introduce al dialogo di cui ho parlato all’inizio: è come la chiave per aprire la porta attraverso la quale è consentito, in un momento di grazia, di intravedere uno squarcio dell’essere eterno del bambino, fatto che prelude a quella atmosfera interiore da cui scaturisce la pagella vera e propria. In questa si cerca, con poche parole, di ricreare l’immagine del bambino, del suo procedere non soltanto in senso esteriore (certo si dà anche un cenno sui risultati conseguiti nelle varie materie), ma soprattutto nello sviluppo della sua personalità, che è poi ciò che il suo essere spirituale- eterno riesce a conquistare nel suo “spazio” terreno.

La pagella, se è vero che è rivolta ai genitori (i quali non dovrebbero leggerla al bambino, ma tutt’al più mediarla con parole appropriate, perché nel proseguo degli anni il bambino vuole sapere) è in realtà un dialogo profondo con l’essere del fanciullo e contribuisce, o dovrebbe contribuire, a rafforzare quel ponte di solidarietà scuola- famiglia, attraverso il quale il bambino può procedere sempre più spedito e sicuro, percependo, per via indiretta, l’amore e l’attenzione che circondano la sua persona.

Per i più grandicelli, per i ragazzi, il maestro scrive rivolgendosi direttamente a loro: è un grande momento, una vera svolta, quando, intorno ai dodici anni, essi leggono la loro prima pagella. I più intraprendenti lo vogliono fare da soli, poi la “concedono” in visione a papà e mamma (mi capitò, in sesta, di sentire due ragazzine dire ai loro genitori: “Vedrò se è il caso di farvela leggere”): quelli ancora cucciolotti ( che sono i più) la leggono insieme ai genitori, con un senso di timore misto a orgoglio. E’ un momento molto bello, che si crea nell’aula, dopo che le pagelle sono state distribuite; c’è un improvviso silenzio e sui volti traspare una grande emozione, una totale partecipazione.

La parola “pagella” richiama il concetto di valutazione ed è quindi improprio chiamare pagelle i lavori che nella nostra scuola vengono fatti a chiusura dell’anno scolastico, in quanto per noi non si tratta di valutare. Ridurre a una cifra o incasellare in una formula il valore di un essere umano è quanto di più anacronistico e assurdo l’intelletto umano abbia potuto escogitare. Anche così, anche con questo atteggiamento di grande rispetto, che ricerca il contatto con l’essere più profondo del bambino, si rischia di cadere in valutazioni e giudizi spesso informati ad una visione basata sui risultati esteriori. Quello che invece conta è il processo che ogni essere umano in via di sviluppo vive per far emergere il valore precipuo della sua umanità. Il cammino è lungo: cerchiamo di avvicinarci alla meta con umiltà e piccole tappe.