Libertà: conquista quotidiana del singolo e di tutta la comunità scolastica

Sabino Pavone (Waldorf Italia 2007)

Se osserviamo la nostra esistenza, possiamo vedere gli obbiettivi allontanarsi, man mano che li avviciniamo, o quanto meno perdere la loro netta definizione al punto tale da ritenere quasi il percorso fatto per raggiungerli la mèta stessa. Nelle realtà Waldorf, si può fare l’esperienza di cogliere con più evidenza che tutti gli avvenimenti per giungere qui oggi sono stati di preparazione a questo momento e che le forze che maturiamo nel corso della vita, grazie agli sforzi ed ai sacrifici, ci preparano ad affrontare il presente, unico vero spazio temporale in cui percepiamo la pienezza della libertà, che non abbiamo più verso il passato, in quanto tale, e che non possiamo avere verso l’ignoto futuro se non preparandoci per affrontarlo con rinnovata consapevolezza: in sintesi, oggi siamo il ‘risultato’ di ieri, il domani lo stiamo preparando oggi.

Questo preambolo ci introduce nella cornice di ciò che per eccellenza guarda al futuro, la pedagogia, l’educazione e l’istruzione dei giovani; tema questo affrontato con grande apertura e lungimiranza nel ‘Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo (1996), rapporto che in sintesi delinea 4 pilastri fondamentali su cui poggiare l’edificio educativo, una sorta di ‘stella’, un tendere, una inclinazione, un ideale da perseguire paradossalmente come “utopia necessaria”.

Caratteristica di una scuola Waldorf di oggi è proprio che lungo il percorso le qualità che si acquistano diventano l’obbiettivo da raggiungere quotidianamente e la libertà ha molto a che fare con questo perché la libertà è un fatto quotidiano, che viene rimesso in discussione ogni giorno, ogni istante della nostra esistenza ed è un fatto individualissimo. Favorire la nascita di istanze in cui il bambino, il fanciullo, il giovane possa nutrirsi attraverso l’esperienza diretta di tale disposizione d’animo degli adulti è uno dei compiti fondamentali della nostra scuola . Occorre perciò che l’impulso Waldorf giunga nel terzo millennio e, se pur lumicino, possa essere umile faro per quella notte buia che sta diventando l’educazione e l’istruzione.

Altra caratteristica della scuola Waldorf è quella di entrare nel procedere evolutivo di tutto ciò che ha a che fare con la vita, attraverso l’immagine della processualità: la parola “processo” è una parola chiave per quanto riguarda tutto ciò che vive e cresce e si sviluppa.

Il processo che, per eccellenza, caratterizza la scuola è quello dell’apprendimento, che nelle tradizionali istituzioni, tranne in rari casi, vive sull’immagine di una istruzione che impegna prevalentemente la testa, con insegnamenti che coinvolgono le forze vitali nel polo neurosensoriale, intellettuale e dovrebbero divenire forza di volontà per la conquista delle conoscenze e delle competenze intellettuali, sociali e di iniziativa. In tal modo il procedimento è analogo a quello con cui si riempie un secchio vuoto. Nelle nostre realtà invece si parte dalle forze disponibili del bambino che, gradualmente, usiamo per innescare il processo di apprendimento.

I 4 pilastri dell’educazione rilevati dall’Unesco (imparare a conoscere, imparare a fare, imparare ad essere ed imparare a vivere insieme.) sono profondamente condivisibili, ma la Commissione che li ha elaboratori nulla dice su quando il bambino “apre naturalmente le porte” all’acquisizione di queste competenze, in sostanza sulle tappe evolutive dell’essere umano in divenire.

Con l’Antroposofia, se la riconosciamo, abbiamo ricevuto lo strumento conoscitivo grazie al quale possiamo individuare e constatare questi momenti evolutivi.

Imparare a fare è un processo che afferra tutta la vita, ma il suo epicentro di volontà che parte dagli arti, dall’attività, il bimbo lo manifesta come disposizione naturale nel corso del I settennio; solo successivamente, con la scuola di base, conduciamo l’essere umano all’esperienza educativa della vita emozionale e solo con questo bagaglio noi giungiamo nel III settennio a configurare l’insegnamento intellettuale. Possiamo così, schematicamente, parlare di un primo, secondo e terzo settennio e questo è un processo, una direzione del processo di sviluppo diametralmente opposta al consueto procedere, che parte da ciò che naturalmente il bambino mette a disposizione per il suo percorso formativo.

Queste sono indicazioni, impulsi originati circa un secolo fa e che oggi, in un mondo che ha subìto una trasformazione così veloce come mai prima, rischiano di divenire tanto ortodosse, tanto metodologiche, da risultare scollegate dalla vita ed essere vissute come troppo chiuse, settarie. Ne consegue spesso un bisogno di alternativismo, che si oppone alla tradizione ponendo in campo un rinnovamento che non poggia su una vera conoscenza dell’uomo, ma questa polarità tradizione-alternativismo compromette la possibilità di mantenere chiara la direzione spirituale dell’impulso, sia all’interno che verso il mondo. Il tema della tutela e dello sviluppo del movimento Waldorf è gravido di domande e credo che la possibilità reale di risolvere questa tensione consista nel ricollegarsi alla sorgente, alle radici, all’antroposofia, là dove la rivivificazione delle conoscenze donateci dall’antropologia antroposofica consente una elaborazione capace di mantenere viva l’identità della scuola Waldorf, attribuendogli il proprio compito nel mondo rispondendo ai bisogni dello Spirito del tempo.

Ci accosteremo ora al tema della libertà, attingendo, da una parte alle esperienze che oggi caratterizzano la vita dell’anima dell’uomo contemporaneo, e dall’altra, mantenendo sullo sfondo le conoscenze che Rudolf Steiner ci ha donato con il saggio che in un certo senso inaugura il tema della libertà, così antico, ma in realtà così attuale: “Filosofia della libertà”

Nelle conferenze VII, XIV e XV tratte dal ciclo “L’enigma dell’uomo” (O:O:170 -1916), Rudolf Steiner “intreccia” i 7 processi vitali e i 12 sensi dell’uomo . Questo mistero del 7 (processi vitali) e del 12 ( sensi della percezione) in realtà è a mio avviso il fondamento di tutto l’impianto educativo (ed autoeducativo).

Così, quando un insegnante porta qualcosa di nuovo prima lo pone nell’aria, poi lo scalda, poi lo nutre, pone poi le basi per “secernere”, trattenere cioè l’indispensabile e lasciar andare il superfluo, così che si mantiene il nutrimento favorendo la crescita fino all’autonomia della riproduzione. Quello che nutre i ragazzi in sostanza è lo sforzo che il maestro ha attivato per sciogliere nel crogiolo del proprio Io la sostanza dell’insegnamento.

Dalla correttezza con cui si è intrecciato il processo di apprendimento con il ‘percepito’, dipende il successo o meno dell’insegnamento, i problemi del ragazzo che non riesce a mantenere, o a secernere, o a scaldarsi per la materia….

Nella vita , una qualsiasi fase ‘saltata’di un processo, genera più avanti una sorta di sentimento retroattivo; è come se ad una certa età si prova la smania di andare a riprendersi qualcosa di cui ci si è sentiti defraudati e questo non solo nell’apprendimento.

In una scuola Waldorf anche l’apprendimento degli adulti vive una certa processualità e se siamo coscienti di questo, non metteremo mai un nuovo amministratore o un nuovo insegnante o un nuovo genitore in prima linea, all’avanguardia, perché non ci può essere vera libertà senza conoscenza; questa frase potrà apparire eccessivamente lapidaria, esclusiva, quasi antipatica, ma poi, alla fine, se vissuta con spregiudicatezza è drammaticamente vera. Si può affermare che l’uomo è massimamente libero, quanto più è cosciente delle conseguenze che genera nel mondo con il suo pensare, il suo sentire e volere. Questa immagine della libertà è estremamente scomoda, impietosa ma vera, seppur intesa anch’essa come una conquista che vive a sua volta una processualità. Molto meno scomoda (apparentemente) è l’immagine della libertà intesa come possibilità di dare libero sfogo ai propri pensieri, sentimenti e volontà, senza prendere in considerazione ciò che questo può generare nel tessuto sociale in cui opero, in poche parole una libertà che ha ancora il colore dell’arbitrio personale Questa epoca di transizione vede la tensione sociale che si crea quando si incontrano uomini che per destino debbono lavorare insieme per un progetto che li unisce e che portano in loro una immagine, un vissuto diverso della libertà, così come sopra caratterizzata. E’ una tensione che si manifesta con l’apparire dell’anima cosciente, caratterizzata da questa polarità: l’attività dell’Io cosciente che opera nella propria anima guardando con interesse verso l’uomo e l’umanità intera, e l’attività dell’Io ordinario (inferiore) che vive in un appagamento di natura egoica.

La domanda principale diviene allora: come è possibile una convivenza tra gli uomini, se ognuno cerca la propria individualità? Ci viene in soccorso Rudolf Steiner, nel nono capitolo della “Filosofia della libertà”, intitolato “Il mondo

delle idee”, precisamente a pag. 122, sostiene che il nostro mondo comune è il mondo delle idee, non quello delle percezioni. Se quest’ultimo lo fosse, potremmo stabilire una visione valida per tutti, da cui trarre le norme su cui fondare il nostro diritto collettivo. La differenza fra me ed il mio simile non consiste affatto nella circostanza che noi viviamo in due mondi spirituali del tutto diversi, ma che egli riceve intuizioni diverse dalle mie da un comune mondo di idee. Egli vuole esprimere le sue intuizioni , ed io le mie.

Se veramente attingiamo entrambi dall’idea e non seguiamo alcun impulso esteriore, possiamo incontrarci unicamente negli stessi sforzi, nelle stesse intenzioni. E’ lo sforzo l’elemento comune. Un malinteso morale o un urto sono esclusi fra uomini moralmente liberi.

“Vivere nell’amore per l’azione e lasciar vivere nella comprensione della volontà altrui è la massima fondamentale degli uomini liberi”.

Su questo discorso si innesta il problema del dovere, che Christopher Clouder ha, riportando i versi di Tagore, qualificato come gioia del dovere.

Nei paesi del Nord Europa, in particolare nei paesi scandinavi, l’osservazione dei fenomeni sociali è giunta ad alcune interessanti conclusioni: un uomo che non ama il suo lavoro è infelice, non lavora volentieri, quindi è un peso sociale, costa e non assolve al servizio: la sua biografia esteriore non coincide con quella interiore, dove necessità e libertà cozzano tra loro, così lo Stato, tramite le sue strutture, offre a chi è insoddisfatto del proprio lavoro sei mesi di corso di specializzazione in un settore scelto dal candidato.

Il risvolto di queste tematiche, quali il diritto e dovere, nelle nostre scuole diventa un’esperienza formidabile: ci si rende presto conto che c’è tanto, tantissimo da fare ed ognuno di noi costituisce per l’altro la palestra in cui fare esercizi per crescere.

Per mantenere in salute una scuola Waldorf ci vuole un miracolo! Perché? Perché nelle nostre scuole stiamo sperimentando forme di vita sociale del futuro, siamo portati dal futuro che ci viene incontro a sperimentare una sorta di inversione di immagini: per esempio siamo abituati a vivere il dovere come qualcosa che ci viene indicato da fuori di noi, quando dovrei amare ciò che faccio al punto di gioire del mio assolvere liberamente dentro di me per amore della cosa che assieme vogliamo incarnare.

Invece i diritti, che siamo abituati a rivendicare dalla nostra intima interiorità, dovrebbero essermi riconosciuti da fuori.. La scuola non è però un’impresa, è un istituto culturale, e deve potersi configurare come ipotesi di esperienza ispirata dalla triarticolazione sociale; ma ciò non è facile, richiede una maturità ed uno spirito di sacrificio notevoli, rafforzati anche dalla convinzione che l’Italia ha un ruolo, anche educativo, nell’Europa.

Ancora sul tema della coscienza: come è possibile abbracciare con la propria anima tutti gli accadimenti presenti in una comunità? Si può sentire il dolore che nasce nello sforzo di ampliare, di fare spazio a sempre nuovi fatti, processi iniziati da nuovi incontri; in fondo sorge la domanda: ci sono limiti nella coscienza e conoscenza? Scopriremo presto che nelle nostre realtà, appena si è pronti per sostenere un impegno, ne arriva subito un altro e poi un altro ancora. Qui ci avviciniamo ad un grande mistero legato alle qualità che gli uomini portano con loro e quelle che dovranno apprendere. Per esempio, le forze e le qualità che servono per fondare una scuola, non sono le stesse che servono per mantenerla e svilupparla, richiede un riconoscimento reciproco dei talenti.

C’è qualcuno in una scuola che può sentire una coscienza più ampia degli altri? Si, certamente. Il grado di coscienza e di responsabilità non è spalmabile, non ha il colore e nemmeno il sapore della democrazia. A scuola duecento persone transitano in un corridoio e non vedono il pezzo di carta in terra; poi uno lo vede e lo raccoglie. Perché? Naturalmente non è il pezzo di carta la questione, ma accettare che nella comunità esistono individui che orientano la loro sensibilità, fino nella percezione fisica, diversamente da altre.

Questa osservazione ripropone un tema oggi molto scottante nell’ambito delle nostre comunità e non solo: Come prendere insieme delle decisioni in piena libertà? I pareri degli individui hanno tutti lo stesso peso sul piano spirituale? Chi si assume la responsabilità delle conseguenze delle decisioni che prendiamo? E se la barca incomincerà a fare acqua, chi resterà a bordo?…

Queste sono domande che hanno molto a che fare con la libertà: libertà di compromettersi totalmente, in una certa misura, stazzando oppure no l’impegno, con un’idea antica del sacrificio o nella consapevolezza che il diritto morale di chiedere poggia sul mio sacrifico libero, dove ognuno cresce e matura anche perché le forze gli giungono da fuori, dove l’entusiasmo alleggerisce ed assottiglia l’involucro della coscienza al punto di trovare nuovi spazi interiori.

L’uomo è tanto più libero, quanto più ampio è l’orizzonte degli eventi che riesce ad abbracciare con la propria coscienza. Rudolf Steiner ha detto: “Salutare è solo se nello specchio dell’anima si riflette la comunità e nella comunità vive la forza dell’anima individuale”.

La libertà va cercata dove c’è ed è un compito individuale chiedersi: “Fino a che punto io sono spiritualmente compromesso con questa realtà? Una comunità moderna è fatta di uomini che vogliono sostenersi reciprocamente nel percorso individuale di umanizzazione, di persone che anelano a vivere rapporti che liberano, che non legano.

Ma tutto questo è proprio necessario che sia vissuto in una scuola? Non si potrebbe pensare di fare bene il proprio lavoro di insegnanti o genitori e dare un po’ meno peso a tutto ciò?

Col passare degli anni mi rendo sempre più conto che una delle cose più importanti che stiamo cercando di offrire a questa generazione di ragazzi, è l’esperienza di aver vissuto parte del “tempo della formazione” in una comunità di uomini che, grazie ai loro sforzi, stanno cercando di inverare uno dei principi massimi che sarà a fondamento delle comunità del futuro, che è proprio quello di riconoscersi nel proprio compito, nella propria competenza, nei propri talenti scoprendo che gli altrui impedimenti un po’ mi appartengono. In questo senso le nostre scuole sono cristiane, perché l’impulso che portano è quello che solo il Cristo ha incarnato, quello cioè di riuscire ad abbracciare con tutta la propria coscienza l’essere di tutta l’umanità.

Si sente spesso affermare che le nostre scuole sono esclusive; in una certa misura e da un certo punto di vista è vero.

La capacità di essere inclusivi dipende allora dalla capacità di sviluppare una forza, un centro di luce capace di aggregare forze creative atte ad offrire a tutti la possibilità di dare il meglio di sé.

Si potrebbe obiettare che per esclusive si intendeva anche economicamente. Purtroppo quasi sempre il problema economico è, prima di tutto, un problema spirituale, una condizione, una questione di un’educazione spirituale. Salvando l’uomo si salva anche l’economia, salvando l’uomo la fantasia morale apre, svela dal mondo delle idee soluzioni impensabili quando si è depressi ed amareggiati.

Occorre formulare la domanda giusta, quella vera, autentica, che non è un fatto soggettivo. Quando gli uomini si chiudono in un cerchio e mantengono una certa condizione, diventano interessanti per le gerarchie spirituali, che non hanno la libertà; infatti solo noi, nell’universo, possiamo fare l’esperienza della libertà perché siamo perfettibili. Non è l’individualità che conta, ma la somma delle individualità. Un cerchio composto da anime che non chiedono, ma danno, che vogliono favorire il progresso individuale dell’altro, diventa interessante per le gerarchie e, nel contempo, diviene l’unico modo per ricevere intuizioni di carattere morale. Questa è la vera sfida per la nostra scuola, ma lo sarà sempre di più anche per l’umanità. La vita sulla Terra diviene così un’occasione per superare se stessi e quindi non può essere tranquilla, non può essere senza problemi, perché è con questi che cresciamo, anche se prenderne coscienza è doloroso. R. Steiner indica la via da seguire: non vivere nel dolore, come pure nelle gioie, ma lasciare che questi sentimenti ci parlino, ci indichino percorsi di guarigione.

La salute della vita sociale si ha quando si comprende che i problemi si possono risolvere nel momento in cui la stima dell’altro uomo non va mai sotto una certa soglia; questo atteggiamento ci permette di imparare a scindere la sempre indispensabile tolleranza verso l’essere umano dell’altro dalla percezione di incompetenze che, invece, hanno ragione di essere tollerate fino ad un certo limite. Così non potremmo essere insegnanti se non credessimo che ogni bambino porta dei talenti. In tal modo in una sana socialità si deve poter dialogare sulle cose che non funzionano. Le forze del cuore, i pensieri caldi che non giudicano a priori, sono una conquista sociale, perché ci permettono di dirci anche le cose scomode, quelle che non ci piacciono, ma forse ci fanno crescere e cosa ancora più importante, fanno crescere la “cosa” che ci ha voluto far incontrare.

Chi ci dà però la forza morale di agire, di dire: “Tu questa cosa non la puoi fare.”

Devo essere riconosciuto e vivere nel mondo comune dell’ideale; le cose non funzionano dove manca l’ideale e dove è presente (in una certa misura) viene costantemente messo alla prova!

Tutto ciò ha dei risvolti veramente pratici, quotidiani, concretissimi: per esempio, nella vita sociale la forza dell’informazione è importante, è una direzione morale, da condividere. Non ci si può, ad esempio, candidare amministratore se non ci si è occupati nei cinque anni precedenti della vita economica della scuola, se si è appena giunti! Nel periodo dell’anima cosciente, questi sono gli argomenti che dobbiamo trovare il coraggio di tematizzare, con profonda onestà interiore e dedizione per il compito che per destino siamo chiamati ad onorare.

Sabino Pavone termina la sua prolusione citando le parole di Giorgio Latis riprese dall’introduzione de “Il Cantico di Natale”: “Nelle difficoltà che viviamo da adulti, ciò che ci sostiene sono gli impulsi spirituali che colmavano i nostri educatori”.